Paramilitari russi di guardia al di fuori da una base militare ucraina nella città di Perevevalne il 6 marzo 2014 (foto di Spencer Platt/Getty Images) 

un foglio internazionale

Attenta Europa, attenta Russia


Una guerra in Ucraina destabilizzerebbe le fondamenta della sicurezza del Vecchio continente. Per Mosca potrebbe essere un buon inizio ma una pessima conclusione

Un Foglio Internazionale, le segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere a cura di Giulio Meotti


    

"Una cosa terribile potrebbe essere alle porte in Ucraina. Senza dubbio vedremo sovversione, sabotaggio, attesa e morte, anche se questa miseria c’è sempre stata senza che l’occidente prestasse mai grande attenzione”. Così inizia l’articolo dell’accademico americano Eliot A. Cohen sull’Atlantic: “Ma un’aggressione russa, che potrebbe comportare attacchi aerei e missilistici seguiti da un’invasione, sarebbe molto peggio. Morirebbero migliaia di persone, e le fondamenta della sicurezza europea verrebbero scosse come non lo sono mai state dall’inizio della guerra fredda”. 

   
Nonostante questo, la preoccupazione e la disperazione negli Stati Uniti è eccessiva, scrive Cohen. I commentatori hanno dato molte interpretazioni a questa crisi: vecchie e insensate recriminazioni contro l’espansionismo della Nato, analisi psicoterapeutiche sulla volontà di Vladimir Putin di “essere rispettato” ma, soprattutto, si è affermata l’idea che il presidente russo abbia tutto l’occidente, e non solo l’Ucraina, ai suoi piedi. Cohen crede ci sia bisogno di un’analisi più bilanciata. 

  

   

Dal punto di vista di Mosca, l’Ucraina non rappresenta un problema perché vuole unirsi alla Nato, ma perché si sta democratizzando: in modo lento e imperfetto, sta costruendo una nuova identità nazionale. Lo stesso sta avvenendo nelle altre ex repubbliche sovietiche (come l’Azerbaijan) che hanno silenziosamente preso le difese di Kiev. L’obiettivo di ricostruire una versione moderna dell’Urss sta sfuggendo di mano, e Putin lo sa. La Russia è animata dalla nostalgia verso l’impero che fu, ma Cohen ritiene che l’iniziativa di Mosca in Ucraina possa fare la stessa fine degli interventi britannici e francesi nel 1956: un buon inizio ma una pessima conclusione. Il dittatore russo ha fatto delle richieste irricevibili e le ha annunciate in pubblico, indicando che vuole uno scontro. Ha mobilitato un esercito di cento mila truppe ai confini dell’Ucraina, che non sono abbastanza per mettere in ginocchio un paese di quaranta milioni di persone, molte delle quali sono pronte a combattere. 

  

Secondo Cohen, la posta in gioco è alta per l’Europa, ma è ancora più alta per Putin. Una conquista russa creerebbe un precedente pericoloso, e distruggerebbe la pace che ha regnato in Europa (con l’eccezione delle guerre nei Balcani) dal 1949. Ma i rischi per la Russia sono ancora maggiori: potrà sopravvivere alle sanzioni economiche, ma i costi della guerra porteranno una grande instabilità in patria. La polizia segreta può avvelenare, imprigionare, o uccidere i leader dissidenti come Alexei Navalny, ma farà molta più fatica a massacrare le folle piene di madri di soldati morti o feriti. Una Russia isolata dall’occidente e punita dalle sanzioni economiche diventerebbe, ancora più di ora, uno stato vassallo della Cina, e i soldati e diplomatici russi sanno quanto sia poco sentimentale Pechino verso gli stati satelliti. “Finora la reazione dell’occidente è stata prudente ma efficace. Gli Stati Uniti hanno preso la guida, e il presidente Joe Biden ha alle sue spalle un notevole consenso bipartisan. L’amministrazione ha fatto delle minacce giuste, ha preparato delle sanzioni appropriate e compiuto il passo più importante, consegnando dei missili anticarro e missili antiaerei ai soldati ucraini. La Nato non si è sgretolata, anzi ha fatto il contrario. La Svezia e la Finlandia hanno fatto trapelare la volontà di unirsi all’alleanza, i paesi dell’Europa dell’est sono stati particolarmente risoluti, e anche lo sforzo diplomatico francese riflette l’ambizione di Emmanuel Macron di essere il più grande statista europeo, piuttosto che la volontà di pacificare la Russia”. 

  

Secondo Cohen, Putin ha fatto un regalo alla Nato. “Se l’alleanza soffriva di una crisi di identità negli anni Novanta e successivamente, oggi i suoi membri non possono mettere in dubbio la sua necessità. Georgii Arbatov, uno dei consiglieri di Mikhail Gorbachev, non aveva torto quando nel 1987 disse con ironia che la disgregazione dell’Urss avrebbe fatto un danno all’occidente, che si sarebbe ritrovato senza un nemico. Ribaltando il ragionamento, Putin non ha solamente allungato la vita alla Nato, ma gli ha dato vigore. Lo stereotipo occidentale spesso ritrae i russi come degli abili giocatori di scacchi, degli astuti manipolatori dell’uso della forza applicato alla politica che si fanno gioco regolarmente dei loro avversari occidentali. Ma nei fatti questa idea è meno vera di quanto non crediamo”.

  

Nei paragrafi conclusivi, Cohen racconta che l’occidente ha la tendenza a sopravvalutare la Russia di Putin. Ma in realtà, spiega l’analista, l’Armata rossa non è la Wehrmacht, e soffre di molti problemi strutturali. Inoltre, gli eserciti sono uno specchio delle società e, nonostante sia messa meglio rispetto agli anni Novanta, la Russia continua ad avere gli stessi problemi endemici: un pessimo sistema sanitario, un’economia dipendente dalle risorse naturali, una classe politica corrotta e, al suo vertice, “un anziano dittatore” che fa di testa sua.

  

Cohen traccia un parallelo con la battaglia del Wilderness del maggio 1864, che portò alla fine della Confederazione nella guerra civile americana. All’inizio della battaglia, i generali dell’armata del Potomac ebbero una crisi di nervi, tanto che un ufficiale andò da Ulysses S. Grant e gli disse: “Generale Grant, questa è una crisi che deve essere trattata seriamente. Conosco i metodi di Robert E. Lee molto bene; mobiliterà il suo intero esercito tra noi e il fiume Rapidan, e questo ci farà del male”. Grant tirò fuori un sigaro e disse queste parole al generale agitato: “Sono davvero stanco di sentire cosa farà Lee. Alcuni di voi sembrano pensare che all’improvviso farà un doppio salto mortale e ci prenderà di sorpresa da entrambi i lati allo stesso tempo”. E poi ha ordinato al generale di tornare al suo posto e pensare a ciò che l’armata del Potomac avrebbe potuto fare a Lee, anziché il contrario. “Vladimir Putin non è Robert E. Lee – conclude Cohen – Ma in un momento in cui le statue di Lee vengono abbattute, bisognerebbe prendere esempio dallo spirito di Ulysses S. Grant”. (Traduzione di Gregorio Sorgi)

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