Il monopattino elettrico Xiaomi M365 Pro in contesti non milanesi (foto Xiaomi)

Il Foglio Innovazione

Timore e tremore da monopattino

Maurizio Crippa

Milano vista da un "mezzo per la micromobilità elettrica" è piena di pericoli, ma quanta bellezza

Il nonno Mario, il mio nonno materno, compariva d’estate dal cancello, dopo la spesa, spingendo a mano la bicicletta di un bizzarro color ruggine con la cartella da operaio appesa alla canna per la pateletta. Noi banda di bambini sudati del cortile si interrompeva le attività e si correva da lui, promessa certa di mentine per tutti e, nei giorni buoni, di monetine che oggi sarebbero centesimi per il ghiacciolo gusto cola. Poco dopo se ne andava, spingendo a mano la bicicletta rigorosamente sul marciapiede. Non l’abbiamo mai visto pedalare, e non l’abbiamo mai visto senza bicicletta. Se la portava a mano così, come per farsi compagnia l’uno all’altra. Forse la bicicletta, destituita della sua minacciosa velocità, gli dava coraggio nel caotico traffico di provincia degli anni Settanta. Poi è arrivato in redazione il monopattino elettrico Xiaomi M365 Pro, da provare. Lo doveva provare una persona giovane e che fa ginnastica e molto smart nei percorsi Cerchia dei Navigli. Risultò che aveva paura.

 

E’ finita che @eugenio_cau e @paolapeduzzi mi hanno tirato in mezzo, loro dicono che non è vero ma io sono sicuro per percularmi perché sono un boomer. Allora mi è tornato in mente il nonno Mario che faceva compagnia alla bicicletta a mano e il suo ammonimento fisso, “non andare nei pericoli!”, e mi sono detto: non mi avrete. Né me, né le mie clavicole. Sono sceso con il pauroso mezzo elettrico a gestione digitale in via Vittor Pisani e siamo andati in giro, io e lui, spingendolo a piedi.

 


Vai sulla ciclabile, e a dieci centimetri ti sfrecciano certi sacramentoni di raider che i freni mai, perché fanno perdere fatturato


 

Perché poi. Per circolare a Milano, città eco-pulita almeno nelle settimane prima del Grande Contagio, con i “veicoli di micromobilità elettrica” (che comprendono anche l’insensato segway e la monoruota stile BC di Johnny Hart, che però la usa solo il mio amico Fulvio di Parigi), devi per prima cosa avere una laurea in giurisprudenza e una in teoria dei frattali. La giurisprudenza serve per capire i regolamenti del comune e i decreti ministeriali. La teoria dei frattali per individuare l’esoterico intreccio di percorsi dove puoi o non puoi: ma sempre dentro la Cerchia, il monopattino è fondamentalmente una innovazione da “élite Ztl”. Puoi andare che anche in periferia, certo: non è vietato nemmeno andare nella giungla. Extra cerchia, ammesso che siano zone di piste ciclabili, devi però arrivarci portandoti il manufatto da dieci chili chiuso, in metro o via Trenord. Dal Giambellino a Festa del Perdono ad esempio, se sei un universitario, è un’impresa da ganzi.

 

Poi c’è il resto delle regole, giungla di carta. I “veicoli di micromobilità elettrica” possono andare in zona pedonale ma a 6 km/h, sulle ciclabili, nelle strade “zona 30” (poi provate voi a trovare auto che vanno a 30 all’ora). Sui marciapiedi no, nei parchi no (in attesa di regolamento), nelle strade dove passano i tram no. Poi c’è la riffa sharing, per ora ci sono duemila monopattini suddivisi in tre gestori, se non volete comprare. Poi c’è la caccia al tesoro del parcheggio. Il monopattino è bellissimo per prendere una boccata d’aria, però già in via Manzoni, per dire, passa il tram ed è esclusa.

 

Se non sbagli le regole e non incappi nei ghisa, ci sono i pericoli. Vai sulla ciclabile, e a dieci centimetri dalle orecchie ti sfrecciano certi sacramentoni di raider che il campanello mai, che i freni neanche perché fanno perdere fatturato, e hanno borsoni grandi come container. Oppure i furgoni che parcheggiano sul bordo e aprono il portellone regolarmente lato ciclabile e senza guardare. Per non dire del problema di quanto, persino noi milanesi, siamo inadatti al bonton da micromobilità sostenibile. Fonte il Giorno, 12 febbraio: “Incivili sui monopattini: in due e anche con un bimbo”. Altre segnalazioni in cronaca: quelli che si fanno i selfie mentre vanno. Fonte la splendida @martacagnola su Twitter, definitiva: “Tizio che sfrecci in via Monte Rosa su un monopattino elettrico, hai la mascherina in faccia ma invece di guardare la strada tieni gli occhi sul telefonino: sai che io ti abbatto molto più rapidamente del coronavirus?”. Certo, i monopattini sono aria pulita e mobilità futura. Ma se aspettiamo che il CO2 cali dello 0,0001 per cento grazie a loro, Greta fa in tempo a diventare novantenne. That’s all, folks.

 


Continuavo a incontrare amici che dicevano: wow, ma ti hanno rubato la macchina? Poi volevano provare anche loro


 

E invece no: non sono andato in giro a piedi a far compagnia al monopattino. Ci sono salito sopra, mica sono mio nonno, quando mi ricapita? C’è la prima velocità controllata sotto i 6 km/h (per il comune è il limite nelle zone pedonali, per la ditta produttrice suppongo il limite di sicurezza per baby boomer rintronati), ma manco l’ho guardata: ho selezionato la terza velocità, speed, fino a venticinque, ho dato la mia spinta di avviamento, ho scampanellato a una sciura periclitante con la bici a pedalata assistita e ffrrrr… Dopo i primi allunghi, le prime curve morbide, è subito il momento di provare lo slalom fra i pali della luce, fra i vasi da arredo urbano (meraviglia, basta l’equilibrio di un normale manovratore di bicicletta). I saliscendi da attraversamento devi prenderli senza foga, la ruota è piccola e in proporzione il passo è lungo, ma dopo un po’ l’istinto di gara ti dice di non fermarti, complice la frenata secca che puoi fare a due metri. Vista periferica obbligatoria, perché è sempre pieno di pedoni che guardano dal lato sbagliato, e via. Sono stato prudente, i ragazzi invece li riconosci perché vanno forte anche sulle strade zona 30. I colletti bianchi da un po’ di giorni li riconosci perché hanno la mascherina, che non serve a un tubo ma fa tanto fighetto. I più pericolosi sono quelli con la musica nelle orecchie, che non sentono il campanello e manco il clacson: dovrebbero chiuderli in un’apposita zona rossa.

 

Davvero bello, ho provato a usarlo anche a casa, perché sono un milanese metropolitano e nei comuni dell’hinterland le piste ciclabili ci sono e pure i parchetti urbani. E in attesa che Beppe Sala faccia il regolamento per il verde, ci sono quelli fatti bene, con i percorsi ciclopedonali: e allora lì si può, senza il rischio di tirar sotto i bambini. Continuavo a incontrare amici che dicevano: wow, ma ti hanno rubato la macchina? Poi volevano provare anche loro. Perché, appunto, è un gioco. Sapete, anche dalle parti dell’Ospedale Sacco, oltre che di contagiati, è pieno di ciclabili: ma se fate la gara polveri sottili contro monopattino, chi vince? Il monopattino elettrico è fico, sul breve precorso diventerà ottimo, su quelli lunghi o dove il comune si è dimenticato di rifare l’asfalto, meno. Più che altro, ti fa sentire uno che ha a cuore i criteri della nuova mobilità: è narcisista, come Instagram. Però chissenefrega, nemmeno Slavoj Zizek ci starebbe a pensare mentre sfreccia sotto il Bosco Verticale. Il nonno Mario aveva una zazzera all’umbertina dura come una spazzola che avrebbe affettato pure l’aria, se avesse mai corso con la sua bicicletta color ruggine. Io avevo la mia berretta blu, mentre sfrecciavo allegro. Per schivare il vento nei capelli.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"