Un uomo controlla il suo smartphone (LaPresse)

Il Foglio Innovazione

Ecco l'uomo che vi tiene incollati a Facebook (ma si è pentito)

Edoardo D'Elia

Aza Raskin ha inventato l'"infinite scrolling" e ha fatto in modo che i social non finissero mai. Ma adesso lotta contro la sua creatura

Questo articolo è stato pubblicato sull'ultimo numero del Foglio Innovazione, il mensile curato da Eugenio Cau. Il prossimo numero uscirà martedì 7 luglio. E potrete trovarlo nella nostra edicola digitale a partire dalle 23.30 del 6 luglio   


 

Aza Raskin ha detto al Foglio Innovazione che spera con tutto il cuore di non essere ricordato per aver inventato l’infinite scroll: “Non voglio che sulla mia lapide ci sia scritto He scrolled!”. (In italiano, scrolled si tradurrebbe con “scorso”, che non si usa, ma che su una lapide sarebbe adeguato). L’infinite scroll è quella funzione che ci permette di scorrere le bacheche dei social network all’infinito, senza mai dover cambiare pagina. Può sembrarci scontata, ma è una funzione che non è sempre stata lì, non è nata con internet. All’inizio i siti imitavano la realtà, per abitudine e per difficoltà tecniche, perché la velocità di connessione e di calcolo non permetteva di elaborare velocemente una singola pagina infinita. E allora le pagine finivano e bisognava cliccare sulle pagine successive. Nel 2006, quando annunciò la sua innovazione, Aza Raskin disse che ogni volta che l’utente clicca per cambiare pagina smette di essere concentrato su ciò che sta leggendo. Questa distrazione interrompe un flusso e costringe l’utente a smettere di leggere, così una volta che ha smesso magari pensa che può cambiare sito. E infatti molto spesso lo cambia. L’infinite scroll nasce proprio per non interrompere il flusso magico dell’attenzione. Il motto era “non costringere l’utente a chiedere maggior contenuti, daglieli direttamente”, basato sull’assunto secondo cui, se arrivo in fondo alla pagina, vuol già dire che gradirei andare oltre. Pensate a Google. Se non trovo quello che mi interessa nella prima pagina, è più facile che cambi la chiave della ricerca o mi lasci guidare dai suggerimenti correlati, piuttosto che cliccare su pagina 2, 3, 4 ecc. Ma allora perché Google continua ad avere le pagine? Perché così ci mette meno tempo a darci i risultati, perché ormai non importa quanti risultati abbiamo, ma quanto sono mirati e poi perché Google non è mai la destinazione finale, ma solo il crocevia. E meno tempo si passa a un incrocio, meglio è per tutti.

 

Per i social network vale il contrario, l’utente deve rimanerci per molto tempo, altrimenti il social fallisce. Ed è qui che l’infinite scroll mostra la via per la ricchezza: apro Facebook, Twitter o Instagram e vengo fagocitato da un flusso di contenuti che nulla potrà interrompere. Insomma, Aza Raskin, grazie al suo talento e ai suoi studi in Matematica e in Fisica della materia oscura ha trovato la definitiva applicazione tecnologica della filosofia di Eraclito: un uomo non può entrare due volte nello stesso fiume. E vi sfido ad aprire due volte Instagram ritrovando gli stessi contenuti. Tutto scorre.

 

Oltre che sul talento, Aza ha potuto contare su un grande maestro: Jeff Raskin, suo padre, nonché l’inventore del Macintosh. Jeff ha ideato il Macintosh ed è stato uno dei primi e più convinti fautori della sacra centralità dell’utente, la cui vita deve essere facile, anzi facilissima. Aza si è mosso nel solco del padre: “Alle scuole medie — racconta — ho fatto un anno di homeschooling e passavo molto tempo a lavorare su alcuni progetti con Jeff. Avevamo una parete piena di Lego, tutti suddivisi per categoria in piccoli cassetti, in modo da poter costruire modellini più velocemente. Una volta abbiamo costruito un nuovo tipo di catena di trasmissione per il Mars Rover. E subito dopo, proprio perché Jeff era Jeff, ne abbiamo parlato direttamente con la Nasa”. Aza in un certo senso ha applicato le convinzioni del padre: il Macintosh ha convinto milioni di persone a usare il computer, l’infinite scroll mantiene miliardi di persone attaccate ai social network. Ma allora perché, mentre Jeff è rimasto l’orgoglioso guru del Macintosh, Aza ora si è pentito e non vuole essere ricordato per l’infinite scroll? “La differenza con il Mac di Jeff – dice Aza – è che l’interfaccia del computer poteva anche cercare di attirarci, ma era un un solo punto nello spazio e noi potevamo ancora decidere di non usarlo. Ora invece la tecnologia ci circonda, non possiamo evitarla: anche se decidessi di non usare i social network, tutto il resto del mondo li usa, e io vengo schiacciato”.

 

C’è insomma una forza d’azione che non è più persuasiva ma è diventata coercitiva. Sfruttando funzioni come l’infinte scroll, e altre che ogni giorno centinaia di ingegneri provano a inventare, i social network fanno in modo di creare dipendenza tossica dalla tecnologia. Eppure verrebbe da dire che la tecnologia in sé è neutrale, perché in fin dei conti dipende dall’uso che se ne fa. “Inizialmente – dice Aza – credevo che creare qualcosa di facile utilizzo volesse automaticamente dire fare qualcosa di buono per l’umanità, ma ho scoperto che è più complicato di così. La tecnologia non può essere neutrale. Il punto è: continuiamo a ignorare le responsabilità solo per alimentare i business model o troviamo il coraggio per dire che alcune cose sono giuste a altre sono sbagliate?”. La domanda è rivolta a tutti gli altri attori della Silicon Valley, e ai loro emuli in giro per il mondo. Per farli rinsavire il prima possibile, Aza ha co-fondato, assieme a Tristan Harris, un ex designer di Google, il Center for Humane Technology, un’organizzazione non profit che vuole “umanizzare” la tecnologia. In pratica, cercano di sensibilizzare il mercato con costanti pressioni sulle grandi compagnie tecnologiche affinché ripensino i loro business model a misura d’uomo. Il programma è ambizioso, ma viene da chiedersi se non sia più romantico che illuminista. “Il nostro imperativo morale è smettere di preoccuparci soltanto della tecnologia e renderci conto che anche una piccola azione può provocare enormi danni alle persone e mettere a repentaglio intere democrazie. Si parla spesso di quando le tecnologie riusciranno a battere l’uomo in quello che sa fare meglio, creatività, ragionamento, ecc. Ma è molto più urgente vedere come la tecnologia stia già battendo l’uomo su ciò che sa fare peggio, sulle sue vulnerabilità e debolezze”.

 

I difetti del capitalismo, con i suoi bisogni indotti, e le lotte per la liberazione spirituale dell’uomo non sono nuovi. E il fatto che gli smartphone ti friggano il cervello si sente dire da sempre. La vera novità è che in questi mesi di pandemia, in cui il mondo reale è sospeso, l’infinite scroll ha tenuto compagnia a miliardi di persone. Certo, avrebbero potuto fare anche senza; ma allora anche senza frigorifero. Aza nota però che se è vero che la tecnologia ci permette, per assurdo, di lavorare di più e di incontrare più persone, ci dà anche la misura della sua disumanizzazione: “Il motivo per cui ci affatichiamo tanto usando Zoom è che il nostro cervello cerca di captare tutto quello che capterebbe se fossimo dal vivo, ma senza riuscirci”. Quindi frigge, e finiamo stanchissimi anche se non ci siamo mai mossi. Se invece dovesse convincere un adolescente a riconsiderare il suo comportamento digitale, gli direbbe: “Vuoi essere tu a decidere come interagire con il resto del mondo o vuoi che siano gli altri a deciderlo, per il loro solo profitto e non per il tuo beneficio?”.

 

La questione generazionale è centrale in tutto questo discorso, perché la percezione della tecnologia dipende strettamente da quanto siamo abituati a usarla. Aza, che ha 34 anni, è convinto che la sua generazione abbia un ruolo centrale in questa sfida: “Siamo l’ultima generazione che è cresciuta prima della tecnologia pervasiva ma siamo comunque considerati nativi digitali”. E poi cita Douglas Adams, l’autore di “Guida galattica per autostoppisti”, quando diceva che tutto ciò che viene inventato quando hai tra i quindici e i trentacinque anni è eccitante e probabilmente ci puoi costruire una carriera, mentre tutto quello che viene inventato dopo che hai compiuto trentacinque anni è chiaramente contro l’ordine naturale delle cose. Aza ha ancora dodici mesi per provare a cambiare il mondo.