fauna d'arte

"Per me studio è Profeta, la barca a remi di mio zio". Parla Gaia De Megni

Francesco Stocchi e Gabriele Sassone

"Mi interessa moltissimo riconoscere matrici individuali e collettive, chiavi di lettura sociali in bilico tra realtà e rappresentazione"

Fauna d'arte è una ricognizione intergenerazionale sugli artisti attivi in Italia. Ci facciamo guidare nei loro studi per conoscere dalla loro voce le opere e i modi di lavorare e per capire i loro sguardi sull’attualità. Il titolo si ispira a una sezione di Weekend Postmoderno (1990), il romanzo critico con cui Pier Vittorio Tondelli ha documentato un decennio di cultura e società italiana. A differenza del giornalismo e della saggistica di settore, grazie a “Fauna d’arte”, Tondelli proponeva uno sguardo sull’arte contemporanea accessibile e aperto, interessato a raccontare non solo le opere ma anche le persone, il loro modo di vivere dentro l’arte.

    

Oggi questo approccio ci permette ancora di parlare degli artisti, ma in futuro anche delle altre figure professionali come critici e curatori, galleristi e collezionisti, con lo scopo di restituire la complessità di un sistema attraverso frammenti di realtà individuali.


  

Nome: Gaia De Megni

Luogo e data di nascita: Santa Margherita Ligure, 1993

Riferimento social: @gaiademegni_

 

L'intervista

Intervista realizzata in collaborazione con Giulia Bianchi

 

Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?

Ho rivisto ultimamente alcuni film di Theodoros Angelopoulos, nei suoi paesaggi mi riconoscono molto.

 

Che ruolo ha il costume nella tua pratica artistica?

Si tratta di un dispositivo che mi aiuta a riconoscere paradigmi storici e sociali, uno strumento con il quale provo a scomporre un particolare canone aprendolo a nuove possibili interpretazioni. Attraverso l’uniforme militare, costume che ho utilizzato molto nell’ultimo periodo, provo a ridefinire l’idea di ruolo per metterlo in discussione rivisitandone alcuni dettagli grazie ai materiali e agli interpreti.

 

In che modo hai iniziato a fare l’artista?

Forse non ho ancora iniziato davvero.

  

Che cos’è per te lo studio d’artista?

Non sono mai riuscita a definire studio un perimetro fisico o circoscritto. Per me studio è la barca a remi di mio zio, chiamata Profeta, quando andiamo in mare aperto a dare da mangiare ai gabbiani e tutto intorno a noi uno stormo infinito prende al volo i pezzi di pane che lanciamo in aria. Oppure in inverno, in Liguria, quando l’airone aspetta sopra una barca pronto all’attacco e i marinai buttano bocconi di pane secco vicino alla riva, attraggono i pesci a fior d’acqua per aiutarlo a sfamarsi. Direi che questi sono alcuni dei momenti dove io mi sento in studio.

  

 

Com’è organizzata la tua giornata di lavoro?

Ci sono periodi in cui mi capita di disegnare molto o scrivere, altri invece dove rimango ferma e preferisco non fare nulla, solitamente quelli sono i momenti più prolifici. In generale mi considero decisamente lenta!

  

A che cosa stai lavorando?

Il 12 dicembre ho inaugurato Odeon, la mia prima mostra personale a Milano presso la galleria Renata Fabbri. Prossimamente presenterò Afelio alla prima edizione di Biennale di Malta 2024. La performance è stata realizzata grazie all’aiuto di Gloria Dorliguzzo, che ne ha curato la coreografia, e Marta Tabacco. Per l’occasione lavorerò con due miei carissimi amici Giorgia La Pegna e Gabriele Spallino, insieme ai quali realizzeremo un video dell’azione.

  

Come leghi archivio e immagini in movimento?

L’archivio cinematografico è una mappa che genera sempre nuove terre. Qui colgo gesti, individuo suggerimenti e spunti per nuove partiture e nuove immagini. Mi interessa moltissimo riconoscere matrici individuali e collettive, chiavi di lettura sociali in bilico tra realtà e rappresentazione.

  

Qual è la funzione dell’arte oggi?

Non credo che l’arte abbia un’unica e particolare funzione, ciò che riesco ad apprezzare di più è la sua capacità d’incanto e disincanto.

  

Quanto la scelta dei materiali si ripercuote sul significato delle opere?

Attraverso differenti materiali provo ad attivare nuove riformulazioni di codici visivi.

Ad esempio in AFELIO, il mio ultimo lavoro performativo presentato per la prima volta a Bologna e prodotto da Xing, ho deciso di inserire nel cambio di guardia coreografato un fucile di vetro trasparente. Questa scelta mi ha permesso di rapportarmi con l’idea di arma da fuoco, decostruendone il senso civico e di simbolo proprio grazie al materiale scelto.

 

Le opere

 

 

AFELIO

2023, performance, durata variabile.

foto di Luca Ghedini

 

(Mare I)

 

 

AIRONE

2023, sfere in marmo blu Macauba, 20 cm di Ø

foto di Chiara Scodeller

 

(Mare II)

 

 

IL MITO DELL’EROE

2021, performance, 45 min

foto di Chiara Scodeller

 

(Mare III)

 

 

IL MITO DELL’EROE

2021, performance, 45 min

foto di Chiara Scodeller

 

(Mare IV)

 

 

IL MITO DELL’EROE

2021, video, 16:9, 7.45 min

Assistente regia Giorgia La Pegna

DOP Gabriele Spallino

 

(Mare V)

 

 

IL MITO DELL’ANDROGINO

2020, tre sfere di marmo Nero Marquinia incise, 8, 15, 20 cm

 

(Mare VI)

 

 

AMORE GIOVANE

2020, dimensioni variabili

foto di Andrea Balza

 

(Mare VII)

 

 

S.CARLO

2019, performance e quattro lastre incise di granito Nero Assoluto Zimbabwe, 50 min, 12.5x183 cm

foto di Andrea Balza

 

(Mare VIII)

 

 

PROPAGANDA

2018, performance, 7.23 min

Foto di Alessandro Calabrese

 

(Mare IX)

 

 

NULLA SI SA,TUTTO SI IMMAGINA.

2018, due cubi in marmo Nero Marquinia e Carrara con due video proiezione e proiettori, 38x48x48 cm

 

(Mare X)

 

 

8.30

2014, video, 16:9, 8.30 min

foto di Andrea Balza

 

(Mare XI)

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