fauna d'arte

La “forza debole” di Monia Ben Hamouda

Francesco Stocchi e Gabriele Sassone

"Il mio studio d'artista? Non solo è un luogo di lavoro, ma è anche, e soprattutto, un rifugio"

Fauna d'arte è una ricognizione intergenerazionale sugli artisti attivi in Italia. Ci facciamo guidare nei loro studi per conoscere dalla loro voce le opere e i modi di lavorare e per capire i loro sguardi sull’attualità. Il titolo si ispira a una sezione di Weekend Postmoderno (1990), il romanzo critico con cui Pier Vittorio Tondelli ha documentato un decennio di cultura e società italiana. A differenza del giornalismo e della saggistica di settore, grazie a “Fauna d’arte”, Tondelli proponeva uno sguardo sull’arte contemporanea accessibile e aperto, interessato a raccontare non solo le opere ma anche le persone, il loro modo di vivere dentro l’arte.

    

Oggi questo approccio ci permette ancora di parlare degli artisti, ma in futuro anche delle altre figure professionali come critici e curatori, galleristi e collezionisti, con lo scopo di restituire la complessità di un sistema attraverso frammenti di realtà individuali.


 

Nome: Monia Ben Hamouda

Luogo e data di nascita: Milano, 18.10.1991

Galleria di riferimento e Contatti social:

Chertlüdde, Berlino

chertluedde.com

moniabenhamouda.com

Instagram: @qvarzo

  

L'intervista

Intervista realizzata in collaborazione con Giulia Bianchi

  

Che cosa significa creare una “forza debole”?

Spesso ho descritto il mio lavoro in questo modo: “ambiguo, passivo aggressivo, arrendevole ma pronto all’attacco”. Una parte della mia pratica è molto legata all’arrendevolezza, alle forze che, pur scaricandosi, mantengono una elettro-staticità, e a come tutto questo sia legato all’architettura della memoria. Con “forza-debole” intendevo sottolineare la potenza di un’icona (o di un’opera) e come questa sia un contenitore che reagisce alla nostra postura. Forse, se possiamo creare delle icone, possiamo anche svuotarle della loro potenza. Ed è lo svuotamento che mantiene quel preciso torpore tra arrendevolezza e aggressività.

Secondo me, Philippe Grandieux spiega qualcosa di molto simile qui:

“È come quando cerco i luoghi in cui girare i miei film. Per Un lac, ad esempio, fu molto difficile trovare il lago. L’ho cercato in Finlandia, in Norvegia, in Svezia… E alla fine ho trovato il lago, ma quando ho girato il film ho deciso di inquadrarlo il meno possibile, perché non è una questione di mostrare qualcosa, il cinema, ma di essere dentro questo qualcosa, nelle forze: in questo caso le forze di questo lago, le forze dell’albero, le forze dell’oscurità del lago e della montagna gigantesca… L’idea di mostrare il lago, con un campo lungo, cercando di rappresentare precisamente com’era quel lago, è per me una scelta senza senso, totalmente non cinematografica, perché il cinema è tale solo quando capta queste forze, quando ti confronti al montaggio con diverse tipologie di forze, che stanno modellando da dentro l’inquadratura. Dunque la questione non è più mostrare il lago, ma sentire il lago… È un processo filmico totalmente differente.”

(INTERVIEW WITH PHILIPPE GRANDRIEUX, Lorenzo Baldassari and Nicolò Vigna, Lo Specchio Oscuro)
  

Quando e come ti sei accorta di voler fare l’artista?

Da quel che ricordo, è sempre stato così. Fare l’Artista è stato il mio primo grande desiderio.

Quali sono i tuoi riferimenti teorici e artistici?

Le mie influenze sono spesso di tipo linguistico, geografico e religioso. Il mio contesto familiare è musulmano, e in particolare mio padre è un calligrafo islamico. Questa reference è molto viva e visibile nel mio lavoro, che spesso scava uno spazio di confine tra diversi media, diversi approcci, diverse lingue e rituali.
Sono molto legata al media cinematografico, in particolare al lavoro di Tim Dirdamal, Philippe Grandieux, Andrej Tarkovskij, Steve Mcqueen. Quando posso, leggo molto, ultimamente Ron Padgett, Hanya Yanagihara e qualunque cosa che menzioni Alejandro Jodorowsky.
 

Com’è organizzata la tua giornata di lavoro?
Lavoro molto di notte, e di giorno mi preparo ad assumere la giusta postura per affrontare quel momento.

 

Secondo te oggi qual è funzione dell’arte?
La stessa di sempre: nessuna. Perché pensare all’arte inserendola in un contesto di funzionalità?

 

In che modo la tua pratica artistica indaga l’aniconismo?

È un argomento legato alla mia storia personale e all'identità della mia famiglia.

Più che indagare il dogma, il mio lavoro abbraccia il divieto e lo sfrutta come un elemento che ha la potenzialità della stratificazione.


Che ruolo hanno le spezie?

Pittorico, cerimoniale e apotropaico.
 

A che cosa stai lavorando?
Ho appena inaugurato diverse mostre tra Berlino (da Chertlüdde), Mainz (alla Kunsthalle) e Roma (al Macro).
In questo momento sto lavorando su alcuni progetti che apriranno tra il 2023 e il 2025 in diversi spazi espositivi; una mostra personale a Tunisi (da Selma Feriani) una doppia personale all’Istituto Svizzero di Milano, diverse mostre collettive presso il Frac Bretagne di Rennes, la Kunsthalle Wien di Vienna, il Museion di Bolzano, Paris Internationale a Parigi.

 

Che cos’è per te lo studio d’artista?
Io vivo lo studio come un luogo molto privato, per molti versi domestico. Per me è importante che l’area di lavoro sia anche un’area in cui posso sentirmi a casa, così da poter passarci tra le 10 e le 16 ore al giorno. Spesso ho bisogno di fermarmi, lasciare riposare il lavoro, leggere un libro (e allora ho una grande libreria), vedere un film (e allora c’è un’area con proiettore), di bere un the o invitare amici a cena (c’è anche una cucina). È fondamentale che ogni cosa sia gestita e costruita intorno al mio bisogno di fare arte. La formalizzazione di un’opera può essere molto pesante e complessa, quindi avere uno studio confortevole mi aiuta ad avere un rapporto quotidiano con la materialità. Non solo è un luogo di lavoro, ma è anche, e soprattutto, un rifugio.

   

   

Le opere

  

Installation view KHM:
Monia Ben Hamouda: About Telepathy and other Violences (Aniconism as Figuration Urgency), 171 × 138 × 0,03 cm
Figuration Demon (Disappearing jinn), 190 x 88 x 0,03 cm
“In order to me to write poetry that isn’t political, I must listen to the birds, and in order to hear the birds, the warplanes must be silent” (Flying jinn), 207 x 150 x 0,03 cm
“In order to me to write poetry that isn’t political, I must listen to the birds, and in order to hear the birds, the warplanes must be silent” (Flying jinn II), 220 x 153 x 0,03 cm
Releasing (Aniconism as Figuration Urgency), 137 × 113 × 0,03 cm

2023, laser cut iron, spice powders. Courtesy of the artist and ChertLüdde, Berlin. Photo: Norbert Miguletz

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Monia Ben Hamouda, Blair, 2020, fabric, wood, curry powder, curcuma powder, acrylic paint, plaster, variable dimensions. Installation view in Endless Nostalghia, Piazza del Campidoglio, Rome, IT, 2020. Courtesy of the artist, 101 Numeri Pari and Treti Galaxie. Photo: Flavio Pescatori

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Monia Ben Hamouda, Denial of a Redwing Blackbird II and III (Aniconism as Figuration Urgency), 2022. Steel, turmeric, chili pepper, paprika, charcoal, 273x 171x0,03 cm Courtesy the artist and ChertLüdde, Berlin Retrofuture. Notes for a Collection On the walls: Giovanna Silva, Catabasi, 2020. Print on pvc. MACRO 2023 Ph. Melania Dalle Grave DSL Studio

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Monia Ben Hamouda, Aniconism as Figurative Urgency (Hamra), 2022, Laser cut steel, spice powders 200 × 150 × 25 cm, View from Hamra, solo show by Monia Ben Hamouda at Ariel Feminisms in the Aesthetics, Copenhagen, K, Courtesy the artist, Ariel Feminisms in the Aesthetics, Copenhagen and ChertLüdde, Berlin

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Monia Ben Hamouda, Wudu Diorama, 2022; wood, iron, turmeric, chilli pepper, paprika, charcoal; 1018 x 150 x 150 cm, variable. Installation View from Wudu Diorama, residency solo presentation at Lower Cavity Holyoke, MA - USA. Courtesy the Artist and ChertLüdde,

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Monia Ben Hamouda, Denial of a Red-winged Blackbird fighting a Jinn (Aniconism as Figuration Urgency), 2022, Laser cutted iron, spice powders 280×153×0.03 cm; Installation view of Remarkably Clear, Almost Invisible, Double solo show Monia Ben Hamouda / Michele Gabriele, curated by Anthony Discenza at ASHES/ASHES, New York NY USA, 2022, Courtesy of the artist, ChertLüdde, Berlin and Ashes/Ashes

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Installation view of My Demons My Angels, ChertLüdde, Berlin, 2023

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Installation view of About Telepathy and other Violences, solo show by Monia Ben Hamouda at ChertLüdde, Berlin DE (2023). Courtesy of the artist and ChertLüdde, Berlin

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Monia ben Hamouda, The Destruction of the Idols of Ka’ba, 2023 Carbonized wood, charcoal, concrete, fabric, plaster, lead, iron, clay, spice powders Variable measures, Installation view of The Destruction of the Idols of Ka’ba, solo show at La Casa Encendida, Madrid ES (2023) curated by Pakui Hardware, Courtesy of the artist and ChertLüdde, Berlin

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Monia ben Hamouda, Chandelier (Taronger i Palmeres) II, 2021, Wood, wax, fabrics, chilli powder 120x161x110cm Installation view from Two Suns Upon Shatt al Jarid, solo show show at Pols, Valencia ES Courtesy of the artist and ChertLüdde, Berlin

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