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Il pacifista selettivo. Dice di volere la pace, ma protesta solo quando a combattere è l'occidente. Teheran approva
Chi protesta contro le democrazie ma ignora i crimini di Russia, Iran o Hamas non vuole pace, ma delegittimare chi garantisce libertà. Serve un pacifismo equo che denunci ogni aggressione
Ci sono due pacifismi. Uno è una cosa seria. L’altro è quello che sfila sotto le bandiere arcobaleno quando Israele bombarda Gaza, ma sparisce quando Hamas massacra civili nei kibbutz. Quello che chiede il cessate il fuoco in Ucraina, ma non ha mai chiesto a Putin di ritirarsi. Quello che si indigna se l’America colpisce un impianto nucleare iraniano, ma non spende una parola quando l’Iran manda droni a colpire Riad, Tel Aviv, Kyiv. Chi manifesta per la pace solo quando a sparare è l’occidente non è neutrale è schierato. E non dalla parte dei popoli, ma dalla parte degli aggressori. Perché, piaccia o no, nella maggior parte dei conflitti attuali non ci sono due verità speculari. C'è un invasore e c’è un aggredito. C’è chi bombarda scuole e chi le difende. Chi usa gli ostaggi e chi prova a liberarli.
Il pacifismo selettivo è sempre pronto a spiegare perché l’America sbaglia, perché Israele esagera, perché la Nato provoca. Ma è muto quando si tratta di denunciare i crimini del potere russo, iraniano, cinese. Lo vediamo ogni volta che si organizza una manifestazione per la pace: si parla di diplomazia, di de-escalation, di rispetto dei popoli. Ma mai una volta che si chieda a chi ha iniziato la guerra di smettere. Mai una condanna chiara degli aggressori. Solo un mantra: fermatevi. Ma il punto è: chi si deve fermare? Nel dubbio, si chiede all’occidente. Di fermare l’invio di armi. Di fermare il sostegno all’Ucraina. Di fermare l’intervento contro il terrorismo. Di fermare la solidarietà a Israele. Il risultato è paradossale: il pacifismo che nasce per fermare le guerre, finisce per chiedere che smettano di difendersi proprio quelli che la guerra la subiscono. Non è difficile capire perché questo tipo di pacifismo viene visto con simpatia da Mosca, da Teheran, da Pechino.
Perché funziona come cassa di risonanza delle loro narrazioni. L’occidente come impero violento. La resistenza come diritto solo degli altri. L’idea che non ci siano mai colpe, solo reazioni. E soprattutto: la certezza che la responsabilità sia sempre della democrazia, mai della dittatura. Attenzione: non si tratta di dire che l’occidente ha sempre ragione. Ma è uno spazio in cui ci si può permettere di manifestare contro il proprio governo senza finire in prigione.
Il pacifismo occidentale è così libero da essere diventato a volte un alleato inconsapevole proprio di quelli che la pace la disprezzano. E allora serve una domanda scomoda: perché non si vedono manifestazioni per la pace in sostegno delle donne iraniane? Perché non c’erano piazze arcobaleno quando Putin ha invaso la Georgia? Perché il pacifismo s’indigna solo se a reagire è una democrazia? Forse perché il pacifismo selettivo non è mai stato contro la guerra.
E’ sempre stato contro l’occidente. Contro la sua storia, la sua egemonia culturale. E allora la guerra, in fondo, diventa solo un pretesto. La pace, solo uno slogan. L’obiettivo vero è un altro: delegittimare un modello. Anche quando quel modello è l’unico che garantisce diritti, elezioni, pluralismo, libertà di espressione. Ecco perché serve un nuovo pacifismo. Uno che non chieda meno resistenza, ma meno aggressioni. Che non chieda meno aiuti all’Ucraina, ma più pressioni su Mosca. Che non dica solo “fermate Israele”, ma anche “fermate Hamas”. Un pacifismo che parli anche nelle lingue che non conoscono la parola dissenso. Che marci anche sotto le ambasciate dei regimi. Che si indigni per ogni crimine, non solo per quelli che lo aiutano a sentirsi buono. Perché se la pace diventa un argomento a senso unico, allora è già diventata una bandiera di guerra.