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Il Foglio AI
Un macronista e un meloniano discutono dell'Unione alla vigilia dell'incontro tra Meloni e Macron
Si ignorano, si sfidano, si somigliano. Macron e Meloni sono l’immagine di un’Europa che non si ama ma non può fare a meno di convivere: divisa nei valori, unita dai vincoli. Un dialogo tra sospetti e necessità, dove il compromesso nasce dalla mancanza di alternative
Macronista: Il problema è che non vi fidate. L’Europa funziona solo se ci si fida. Macron lo ha capito: per contare nel mondo, bisogna cedere sovranità. Meloni, invece, continua a trattare Bruxelles come un bancomat da cui prelevare legittimità senza versare fiducia.
Meloniano: Macron parla di Europa solo quando serve ai suoi interessi interni. La Francia fa la morale sui valori ma poi difende i suoi monopoli, sfora le regole, protegge i campioni nazionali. L’Italia, con Meloni, almeno ha smesso di fare finta di essere più europea di quel che è.
Macronista: E infatti oggi è solo più isolata. Meloni ha vinto la sua guerra culturale ma ha perso l’occasione di guidare la partita europea. Ha avuto in mano una congiuntura favorevole: una Commissione che la corteggia, una guerra che unisce, una Francia in ritirata. E che cosa ha fatto? Ha votato contro il green deal e ha difeso Orbán.
Meloniano: Ha votato contro un green deal fatto male, che avrebbe colpito l’Italia più di altri. Ha difeso l’industria, il Made in Italy, il tessuto produttivo. L’Italia ha bisogno di un’Europa che ascolta, non che impone. E’ questo che non capite: per noi l’Europa non è un progetto identitario, è una cornice funzionale. Funziona? La usiamo. Non funziona? La cambiamo.
Macronista: Allora diciamolo: voi volete un’Europa intergovernativa, fatta solo di capitali che si parlano. Ma così non si governa nulla. Non c’è concorrenza, non c’è difesa, non c’è transizione verde. Macron lo sa: serve un bilancio comune, una politica industriale europea, un esercito europeo. Meloni su questi fronti balbetta o tace.
Meloniano: Falso. Il 3 giugno firmeranno proprio un’intesa sulla difesa. E quando si è trattato di votare il patto di stabilità, l’ha fatto. Quando si è trattato di appoggiare von der Leyen, lo ha fatto. Quando si è trattato di sostenere l’Ucraina, lo ha fatto con coerenza, più di certi socialisti spagnoli. Il vostro problema è che scambiate l’ideologia per visione. Noi partiamo dai fatti.
Macronista: I fatti dicono che la Francia attrae investimenti esteri, l’Italia no. Che la Francia guida i dossier sulla difesa, l’Italia li subisce. Che la Francia scrive le regole, l’Italia le interpreta. Macron, con tutti i suoi difetti, ha un’idea di potenza europea. Meloni ha solo un’idea di resistenza nazionale.
Meloniano: Eppure i numeri dicono altro: nel 2024 gli investimenti diretti esteri in Italia hanno superato quelli in Francia. L’Eni è protagonista in Africa. L’Italia è stata decisiva nella scrittura del nuovo patto sull’asilo. E il Piano Mattei è la prima proposta strategica italiana sull’Africa da decenni. Altro che subalternità.
Macronista: Ma alla fine Meloni resta prigioniera del suo passato. Per Macron, Meloni è una Le Pen educata, una versione soft del nazionalismo duro. E’ per questo che non le dà legittimazione. La teme più come esempio che come minaccia.
Meloniano: E fa male. Perché Meloni, da quando è a Palazzo Chigi, ha fatto scelte di governo, non di propaganda. Ha tenuto lontano il gruppo dei patrioti europei, ha difeso l’Ucraina senza ambiguità, ha accettato i compromessi europei. Se Macron fosse furbo, userebbe Meloni per dire ai francesi: vedete? Il sovranismo, al governo, si normalizza. Invece continua a trattarla come se fosse un incidente.
Macronista: Forse perché lo è. E’ un’anomalia nel sistema europeo. E quando l’anomalia si abitua al potere, diventa pericolosa. E’ più difficile da combattere. Macron vuole preservare una linea rossa: l’estrema destra non si sdogana, mai. Neanche se si comporta bene.
Meloniano: Questa è ideologia cieca. E’ la guerra ai fantasmi. La verità è che oggi Macron e Meloni si ritrovano su molte scelte, ma non possono dirlo. Difendono l’industria, rifiutano i dazi americani, appoggiano l’intervento pubblico nell’economia, sostengono von der Leyen. E’ il paradosso dell’Europa: chi si detesta finisce per fare le stesse cose.
Macronista: Perché l’Europa è un vincolo, ma anche un destino. Ti costringe ad adattarti. Anche se ti opponi, ti piega. Il punto è: lo fai perché ci credi o perché ti conviene?
Meloniano: E perché non entrambi? Meloni non è una passeggera dell’Europa. E’ una leader che ha capito che fuori da lì non si va da nessuna parte. Non vuole un’altra Europa: vuole un’Europa diversa. Più utile. Più concreta. Meno ideologica.
Macronista: Eppure tra loro c’è un abisso. Non c’è foto che possa sistemarlo. Non c’è stretta di mano che possa cancellare le uscite sul colonialismo, le accuse sulla Libia, le critiche ai giudici italiani, i silenzi sull’aborto, gli attacchi dell’entourage.
Meloniano: Verissimo. Ma la distanza tra persone non deve tradursi in paralisi tra paesi. Anche perché, se ci pensi bene, nessuno dei due ha un vero amico. Macron è isolato in Europa. Meloni ha alleati deboli. In un certo senso, si tengono in equilibrio.
Macronista: Dici che sono complementari?
Meloniano: Dico che sono l’immagine di un’Europa che funziona non perché è unita, ma perché è obbligata a convivere. Si detestano, ma si servono. Si ignorano, ma si rincorrono. Hanno idee diverse, ma scelte simili. E questo, piaccia o no, è già politica europea.
Macronista: Quindi cosa succederà il 3 giugno?
Meloniano: Un sorriso, una firma, una foto. Poi torneranno a diffidare l’uno dell’altra. Ma con un trattato in più sul tavolo.
Macronista: Europeismo coatto?
Meloniano: Europeismo obbligato. Che è sempre meglio del populismo compiaciuto. E anche del presidenzialismo frustrato.