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Il disagio del futuro, il nuovo film di Pietro Castellitto e la famiglia

Giuseppe Fantasia

In Enea, secondo film da regista e protagonista, Castellitto jr prova raccontare "una storia gangster senza la parte gangster, una storia di genere senza il genere". Una storia finalmente cattiva, vitale e mai ideologica

Ogni famiglia è disfunzionale, nessuna è perfetta: ci si confronta, si litiga e talvolta non ci si parla mai più o solo per un po’ di tempo per ricominciare a farlo come se nulla fosse. Ma nonostante tutto, la famiglia è un tale caos che è bella anche per questo, un posto dove quello che si chiama amore ci sarà per sempre. 


“Se la famiglia è un clan, allora ha un senso. Noi siamo un clan, mamma?”, chiede Enea (Pietro Castellitto) a sua madre Marina (Chiara Noschese) nel suo secondo film da regista e protagonista (dopo I predatori), Enea, appena uscito nelle sale italiane per Vision Distribution dopo la presentazione all’80esimo festival di Venezia. Enea ha tutto proprio grazie a quella famiglia: una madre giornalista, un padre psicoterapeuta interpretato dal vero papà di Pietro, Sergio Castellitto (al suo centesimo film), come il fratello Cesare che interpreta Simone, tanti conoscenti e un vero amico – Valentino (Giorgio Quarzo Guarascio, conosciuto come cantautore con lo pseudonimo Tutti Fenomeni), un Icaro del nuovo Millennio che gioca con il sole e che pur di brillare è disposto anche ad esplodere. Sono giovani, ma a differenza degli altri che sono tristi perché hanno un futuro incerto, quelli mostrati in Enea – prodotto da Lorenzo Mieli per The Apartment con Luca Guadagnino – sono a disagio perché per loro è fin troppo sicuro. “Il disagio che sente Enea è quello di provare a vivere essendo all’altezza delle sue ambizioni in un’epoca in cui la paralisi prolifera”, ci spiega Pietro. “Il bisogno che muove le sue scelte è sentire dentro di sé il movimento della vita, così come provano a sentirsi vivi tutti i personaggi del film, ed è da qui che nasce il conflitto”. “Le persone – gli dirà Eva (Benedetta Porcaroli), il suo rifugio e la sua coscienza, la fidanzata conosciuta sui campi da tennis che sa bene il significato della parola libertà – non sono come pensi tu: le persone soffrono”. 

 
Nel film ognuno lo fa a suo modo, in silenzio o in maniera plateale. Sono giovani che resistono e che – come scrisse il regista nel suo primo romanzo, Gli Iperborei (Bompiani, 2021) – “prosperando nella pace, hanno invocato la guerra”, dei giovani “che hanno smascherato le contraddizioni e sognato l’annientamento”. La famiglia, quando c’è, sta a guardare o non si accorge di nulla neanche quando una palma manda in frantumi un mondo di vetro, tra cocaina, corpi scolpiti, soldi, segreti, bugie, gioie, dolori, sushi e fast food, festini e paillettes, ma quella di Enea è presente, è umana (perfetta la scena del litigio a tavola), non è mai apatica e affonda le sue radici nell’Italia che vive del suo lavoro. “Io vengo da una famiglia povera, questa è la differenza tra me e te”, gli dice il padre che fa parte di quegli adulti “per bene” che hanno condotto con dignità il proprio lavoro cercando di costruire una famiglia senza rinunciare alle proprie ambizioni. All’opposto, ci sono gli adulti “per male” che rivendicano il diritto a un visione drammaturgica della propria esistenza – come lo scrittore ambiguo Oreste Dicembre (Giorgio Montanini), il narcotrafficante Giordano (Adamo Dionisi) o il re della notte Gabriel (Matteo Branciamore) – il segno più commovente del film.

   
“Credo che il punto di vista interessante sia quello di raccontare una storia gangster senza la parte gangster, una storia di genere senza il genere”, precisa Castellitto jr, una storia finalmente cattiva, aggiungiamo noi, vitale e mai ideologica in cui il male (Parioli compresi) viene criticato difendendolo, mostrando l’ipocrisia di chi è dall’altra parte in una città come Roma che è una bocca “pronta a magnacce tutti” e che sembra parlare a un solo mondo – questo è vero – ma che, a ben vedere, ci rappresenta appieno.