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Ma che stai sulla Salaria? Da non insegnare a nessun figlio

Annalena Benini

Non vai a scuola in mutande se sei studente, non dici frasi in ciabatte se sei una prof. Il caso del liceo Righi

"Non stai sulla Salaria” non è una questione di suscettibilità (della ragazzina che viene apostrofata in questo modo dalla sua insegnante, e del nostro mondo perennemente offeso) o di semplice infelicità (la frase è molto infelice), ma di pensiero sciatto, decisamente più sciatto della pancia scoperta di una sedicenne in classe. Il pensiero sciatto non si pone limiti, va a scuola e va ovunque in ciabatte, in mutande con l’elastico rotto, e pronuncia frasi in ciabatte e in mutande con l’elastico rotto per poi chiarire che no, certo non intendeva dire a una sedicenne: sembri una prostituta in attesa di clienti. Qual è l’altro significato di Salaria, una via costeggiata di ombelichi?

La studentessa, sedici anni, si presenta così, ballando con la pancia scoperta durante l’ora buca in classe, viola le regole di decoro e di buona creanza e di abbigliamento consono che contraddistinguono questo antico liceo scientifico a Roma, dove siamo tutti decorosi e beneducati, con la giacca, il foulard, le gonne sotto il ginocchio, salvo poi dire a una ragazzina: ma che stai sulla Salaria? Chi glielo ha detto, un suo compagno stronzo? No, la sua professoressa. Ah, ok.

L’ombelico scoperto viola la regola di abbigliamento della scuola (niente minigonne, canottiere, scollature, niente pantaloni corti per i ragazzi), e va benissimo, ma la frase: ma che stai sulla Salaria? viola tutte le regole di contegno, di linguaggio, di rapporto studenti e insegnanti, di luogo, di pensiero adulto, di gerarchia. La studentessa a scuola si deve vestire in modo adeguato, la professoressa a scuola deve parlare in modo adeguato. Con la differenza che la professoressa difficilmente imiterà  l’abbigliamento della ragazza, difficilmente ne resterà influenzata e si presenterà in classe con la pancia nuda, mentre probabilmente la classe (tre persone, cinque persone, sette persone) assorbirà questa frase e questo insulto, perché questi sono i ruoli, per questo è pensata la scuola. Per contestare, certo, ma anche per imparare. Non è un rapporto paritario.

E’ così difficile, per un adulto che per mestiere insegna ai ragazzi, parlare in italiano, evitare di ubbidire a tic triviali per cui a un ombelico corrisponde la prostituzione, è così difficile usare un linguaggio decoroso, umano, semplice, senza categorie e senza caricature? Non può essere impossibile dire a una ragazza: non sei vestita nel modo adatto, siamo a scuola, copriti la pancia, conosci le regole dal primo giorno. Se non fosse abbastanza efficace la lingua italiana, ci sono le note, le sospensioni, ci sono un sacco di strumenti per la verità, registri elettronici, convocazione dei genitori, il preside. 

Quale linguaggio immaginiamo per i nostri figli, se noi stessi parliamo così male, se andiamo a scuola con i pensieri in mutande? Qualcuno mi ha detto: sei così arrabbiata perché hai una figlia femmina. Sono così arrabbiata anche perché ho una figlia femmina, di quasi sedici anni, e se una professoressa o un professore la insultassero per la pancia scoperta o per qualunque altra cosa, lo troverei inaccettabile. Per lei, per me che ho fiducia nel fatto che a scuola si impari anche a parlare e a pensare. A disubbidire, a chiedere scusa. A essere sospesi, bocciati, promossi. A mettere in discussione il mondo degli adulti e ad avere torto. Ma non ad assorbire parole orribili dai professori. Non è divertente perché ci si diverte solo tra pari. Quindi non tra insegnanti, alunni e ragazze costrette a stare sulla Salaria   

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.