Il Figlio

Fame di padre

Mattia Zecca*

La gigantesca domanda di un sedicenne: un piatto di pasta, che sia solo per me

Lorenzo inizia a indossare i braccioli ancora prima di arrivare in spiaggia. Martino cammina tenendo stretto il suo secchiello arancione e raggiunge così nonno Luciano, suo socio nella ditta edile che costruisce sontuose meraviglie a partire da minuscoli granelli di sabbia. Mentre papà Nicola insegue entrambi i nostri figli per spalmare loro la crema solare, io inizio a piantare l’ombrellone a poca distanza da quello di mia sorella che, con il compagno e il loro bimbo, già giocano in acqua. Ci raggiunge presto anche mia madre con la sua borsa frigo e i racchettoni, quei tre teppisti di nipoti le corrono incontro per abbracciarla. Ci siamo tutti, finalmente: può iniziare anche questa nuova giornata della nostra classica estate italiana.


Viviamo a Roma, ma ogni anno trascorriamo almeno una settimana delle nostre vacanze a Lecce, dove vive la mia famiglia d’origine. Andiamo al mare tutti insieme, in un rituale di parole enigmistiche, ghiaccioli alla menta e infradito sempre ai piedi, in una località poco battuta dai turisti, tra le più vicine alla città. La spiaggia è frequentata soprattutto da famiglie come la nostra, con genitori più o meno apprensivi, figli più o meno vivaci, suocere più o meno impegnative di quanto lo sia mia madre per il povero Nicola. Alla nostra sinistra, ogni mattina, troviamo sempre lo stesso gruppo di ragazzi di varie età, saranno in tutto una ventina, con tre o quattro accompagnatori più grandi. Sappiamo che sono per lo più orfani, ospiti di una casa-famiglia. Sotto l’ombrellone provo a leggere un po’, mentre Martino dorme accanto a me sul telo dopo aver mangiato l’insalata di riso della nonna e la frittata di Nicola. I ragazzi del gruppo vicino a noi pranzano e fanno chiasso, è un continuo di schiamazzi e battute, ma io avevo già notato il suo silenzio, prima che, con il panino ancora tra le mani, lasciasse i compagni della casa-famiglia per avvicinarsi a me. Indossa un paio di boxer alla moda, capelli ricci che vibrano al passaggio del vento, un tatuaggio sulla spalla sinistra. Mi chiede se mi disturba, rispondo di no. Parla con la voce bassa, si vede che è abituato a muoversi intorno a bambini che dormono. Mi chiede il permesso per una domanda indiscreta, glielo accordo, lui si piega sulle sue ginocchia per trovarsi alla mia stessa altezza. Mi chiede come abbiamo fatto ad adottare i nostri bambini.

 

Gli racconto che non li abbiamo adottati, che purtroppo l’adozione in Italia non è consentita a coppie omoaffettive, ma lui questo già lo sa, non disancora gli occhi dai miei: “Ormai ho sedici anni, tra meno di due prenderò pure la patente, potrò trovarmi un lavoro e andare a vivere con la mia ragazza, lasciare la casa-famiglia, anche se mi sono sempre trovato bene, si mangia bene, è come avere tanti fratelli, non mi hanno fatto mai mancare nulla”. Eppure. “Eppure c’è una cosa che mi è sempre mancata”. Non lo interrompo, vuole dirmi quale sia. “Una cosa: sapere che, mentre sono a scuola, in giro con la mia ragazza, al calcetto, c’è una persona – giovane, anziana, ricca, povera, una mamma, due papà come voi, un papà soltanto –  che ogni giorno, qualunque cosa accada, metterà a tavola un piatto di pasta per me, anche un panino come questo, ma che sia solo per me”. Continuo a parlarci, nell’illusione che la dolcezza del tono possa colmare il vuoto delle parole che non trovo, perché ne avrei molte sull’amore, in realtà, ma nessuna sulla fame atavica di questo: so cosa vuol dire essere un figlio, ricevere il dono di un nutrimento dedicato fatto di parole, silenzi, baci sulla fronte, errori, panini avvolti nella carta stagnola, ma non conosco il suo contrario, cosa si provi a non essere figli di nessuno, orfani di quel dono. Guardo i chicchi di riso sparsi sul telo dove dorme Martino, chiedo al ragazzo se vuole una fetta di anguria e mi sembra la cosa più giusta e più sbagliata da dire. Lui mi sorride, mi ringrazia, “magari tra poco”, mi dice. Magari tra poco, penso, ed è tutto quello che posso augurargli.



*Il suo primo libro è “Lo capisce anche un bambino” (Feltrinelli, 2021, 240 pp.)

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