La copertina del libro di Alessia Gazzola "Lena e la tempesta"

L'isola di Lena

Nadia Terranova

Le tempeste della vita e le madri imbarazzanti di Jane Austen. L’ultimo libro di Alessia Gazzola

Le isole, tutte le isole, hanno qualcosa di presuntuoso. Loro esistono immutabilmente dalla notte dei tempi e non hanno bisogno di niente. Sei tu ad aver bisogno di loro per far vacanza, per cercare te stesso, per sentirti meglio”, dice Lena Santoruvo, illustratrice appena sbarcata a Levura, un’isola vulcanica dalle rocce brune dove si trova la casa di famiglia nella quale ha trascorso molte estati d’infanzia.

  

Ma non è estate, Lena non è più una bambina bensì una giovane donna in una palude: ha appena concluso un’insipida relazione con un uomo sposato, il lavoro non decolla e il conto corrente è in rosso. Cosa può fare una donna incagliata in un tempo senza futuro, se non rifugiarsi su un’isola fuori stagione? Lena e la tempesta (Garzanti) è il nuovo romanzo con cui Alessia Gazzola si prende una pausa dal suo personaggio di maggior successo, Alice Allevi, protagonista della serie dell’Allieva, e costruisce una storia in mezzo all’acqua, piantata nell’uragano dei ricordi: una storia sostenuta dalla robusta leggerezza della sua scrittura, da quell’incedere lieve e malinconico, curioso e tormentato, che spinge le sue protagoniste verso amori sbagliati e le fa uscire da insicurezze insormontabili trasformandole in orgogliosi riscatti.

  

Qui ci sono una donna, un’isola, una tempesta esistenziale: gli stessi ingredienti di un classico come L’isola riflessa di Fabrizia Ramondino (Einaudi) o il recente L’isola dell’abbandono di Chiara Gamberale (Feltrinelli), ingredienti che ogni scrittrice usa in modo molto diverso per un percorso catartico, perché sull’isola ci si rifugia, si tocca il fondo, si crede di morire, si guardano in faccia i fantasmi e infine si rinasce. Ogni isola, coi suoi confini liquidi, è rifugio e prigione. Dentro l’isola le persone in fuga sono al sicuro, purché quella sia l’isola giusta, e ce n’è almeno una per ogni donna. Lena ha un segreto, uno solo, terribile, un segreto vero, di quelli mai confessati. Come tutte le cose portate dentro per anni, alimentate da paure e da abbagli, non è ciò che sembra: tenendo lontano il mondo da quel ricordo ha dovuto tenere lontana anche sé stessa, quindi Lena non sa tutto di sé, non sa tutta la verità. Al contrario di Ramondino che ambienta la rinascita a Ventotene e di Gamberale che sceglie Nasso per una riscrittura del mito di Arianna, Gazzola inventa un’isola che non c’è; dice di essersi ispirata a molti luoghi, soprattutto a Levanzo, ma Levura ricorda anche Stromboli, con un lessico eoliano: il baglio (la terrazza), il bisolo (il sedile), la pulera (la colonna).

   

Il “restatina party” di Messina

Alessia Gazzola è nata a Messina come me e nelle sue pagine ritrovo un dizionario conosciuto quando leggo “restatina” (il “Restatina Party” è il pranzo con gli avanzi del giorno prima). Trovo poi i modelli a cui dagli esordi dichiara di essersi ispirata: Wickham, il cognome della famiglia degli inglesi vicini di casa di Lena, è uno pseudonimo usato da Sophie Kinsella. Alessia Gazzola ha un modo unico di raccontare le giornate storte, la cupezza, la goffaggine, i sorrisi e le piccole finzioni, le sfiducie e le relazioni zoppicanti; le lettrici si identificano nei suoi personaggi femminili perché portano la sottile maschera che indossano le donne abituate a dire a loro stesse: va tutto bene, anche quando non è vero. Non sono eroine, non hanno i superpoteri, hanno le altezze e gli sbagli; Gazzola lascia finali aperti, sospesi, come i tramonti di giornate autentiche, alla fine delle quali si è molto stanche e molto vive. Dentro i suoi libri ci sono sempre altri libri (qui: un padre scrittore letterario e una madre scrittrice di romance: il primo ha abbandonato la carriera e la seconda si vergogna della propria), ci sono citazioni di classici e c’è una musica sotterranea (qui: Amalfi degli Hooverphonic).

  

Alessia Gazzola è una lettrice trasversale e un’autrice di trame solide, architettate con intelligenza e stile. Qui c’è una dinamica familiare disfunzionale alla Jane Austen, con una madre invadente e imbarazzante, ignara di ciò che accade davvero a sua figlia, e un padre lontano, che la ama senza quasi conoscerla; c’è il ricordo sofferto di un passato che tiene in ostaggio la vita di Lena; c’è un uomo nuovo che forse quel passato lo sbloccherà, o forse no: sull’isola tutto è possibile e niente è scontato, neppure il lieto fine che somiglia piuttosto a una schiarita, a un sollievo. Così, alla fine, sull’isola Lena ha attraversato la tempesta: ci sono gocce d’acqua sulle sue spalle, ma può chiudere l’ombrello e ricominciare.

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