Illustrazione di Anna Sutor

Azzerare il dolore dell'universo. Il nuovo romanzo di Silvia Avallone

Annalena Benini

Una vita di merda con te o una vita favolosa con un’altra madre? Storia di Adele e di quelli che rinascono

Provate, proviamo tutti, a cercare un punto, un momento, un angolo di sguardo da dove la vita è perfetta. Un attimo in cui è stata perfetta, purissima come un diamante, senza sbavature, senza l’intonaco scrostato sul muro di una stanza troppo piccola in un quartiere troppo lontano, senza un padre che è sparito, una madre distrutta dal tempo, un momento in cui lui non ha desiderato essere altrove, avere scelto un’altra donna, l’attimo in cui lei non ha pianto, non si è rannicchiata tra il termosifone e il muro ed è stata soltanto felice. In questo nuovo luccicante romanzo di Silvia Avallone, “Da dove la vita è perfetta” (appena uscito per Rizzoli, arriva dopo “Marina Bellezza” e “Acciaio”), l’imperfezione avvolge ogni personaggio, ogni strada, ogni nuova possibilità. Come le amiche geniali di Elena Ferrante, nate in un posto in cui tutto sembra guastato in partenza. E anche come Dora, insegnante e moglie quasi perfetta ma con il diavolo in corpo, perché dal suo corpo non esce un figlio, e nella pancia porta un dolore acuminato che le scatena reazioni da animale, le fa venire voglia di strangolare le donne incinte per strada, in centro a Bologna. Le fa venire desideri di annientamento. Possediamo, in queste vite danneggiate, un istante perfetto? Silvia Avallone ce lo mostra già nelle prime pagine del suo romanzo: Adele che partorisce la sua, almeno in questo momento è ancora sua, bambina. Adele che a diciotto anni, non pensa al sangue, al dopo, ai soldi, a Manuel che sta in prigione, alla dichiarazione che deve firmare in cui rinuncia a ogni diritto di madre. Adele spinge, ancora una volta, perché vuole mettere al mondo sua figlia e vuole vederla.

 

“Era uscita. Schizzata via alla velocità della luce, come una saponetta bagnata, una liberazione assoluta. E Adele aveva spalancato gli occhi di colpo, impazzita di adrenalina. Come deve sentirsi dio. Con tutto il dolore dell’universo azzerato”. In quel preciso istante, con la bambina sopra la sua pancia, e il cordone ombelicale ancora non tagliato, la vita era perfetta. Una cosa piena di luce appoggiata addosso. Un momento di felicità che racchiude tutti gli altri, che cancella per almeno un minuto gli errori di una vita incasinata in partenza. Ci sono altri momenti perfetti in questo romanzo, non si possono svelare ma esistono e illuminano il destino di un’umanità che intreccia di continuo i suoi passi, che prende l’autobus dal centro di Bologna verso la periferia, verso un quartiere immaginario, Villaggio Labriola, in cui la vita è guastata in partenza. Mai guastata abbastanza da non potere riacciuffarla, da non usarla come un trampolino per tuffarsi nel mondo. Adele ha diciassette anni quando resta incinta di Manuel, in piedi dentro la stanza di lui che puzza di fumo e di rinuncia, Dora ne ha quasi quindici di più e da sempre insegue una perfezione che non la riguarda. Manuel è inciampato nonostante “I fratelli Karamazov” nascosto in un cassetto sotto le felpe invernali, Fabio è inciampato addosso a una ex fidanzata che gli ricorda un tempo privo di pensieri, un tempo di vittoria e di possibilità. Rosaria, la madre di Adele, è inciampata in un uomo bello come un attore di Beautiful molti anni prima, e adesso vuole prendere a calci il mondo o almeno proteggere le sue figlie, comprare un paio di tende che non può permettersi, avere due ore di permesso per guardare la figlia di sua figlia, di cui forse è nonna o forse invece non è niente.

 

Tutti corrono, sulle zeppe o sulle scarpe eleganti, verso il centro della loro vita o verso il punto di non ritorno, tutti inseguono un momento perfetto, dentro un racconto intimo ma molto cinematografico fatto di apparizioni improvvise e di finestre di fronte. Spacciare droga a Riccione, andare nel liceo più glorioso della città, abbandonare la Fivet, tradire l’infelicità di moglie dentro una macchina con un’altra donna, sputare addosso a un padre vuoto, guardare dalla finestra nell’appartamento di fronte e innamorarsi di una famiglia fatta di tre donne sole, con troppo rossetto troppo smalto, troppe minigonne, che riscaldano la cena e intanto guardano insieme, a luglio, “Il piccolo lord” in tivù (“L’ho sempre odiato, quel cazzo di bambino”, dice Jessica che però non smette di guardarlo). Raccogliere perizomi e mutande dal filo teso del bucato ed essere qualcosa di incredibilmente bello, di meravigliosamente puro, senza saperlo. Zeno spia Adele, Jessica spia Zeno che le spia, Dora spia la pancia delle altre donne, Rosaria spia la vita perfetta degli altri, le loro case perfette, i vestiti perfetti, ma ognuno sta dentro i propri pensieri, i sogni, la paura, il rancore. Tutta la vita davanti, ancora, e però bisogna scegliere una strada.

 

Silvia Avallone conosce il sentimento e racconta senza filtri il dolore e la gioia carnali, lo schiudersi del corpo e la rabbia di sentirlo pieno soltanto di sassi. Ha in mente un cammino, una strada che dal male vada verso il bene, e la segue. Ha in testa un’idea autentica di maternità, viscerale, fondativa, come una rivelazione, e sa trovare le parole per raccontare il pieno e il vuoto, conosce i pensieri di una madre e di un padre in attesa dell’idoneità all’adozione dal Tribunale dei minori, in attesa di un figlio che esiste già. Uno scrittore ama i suoi personaggi almeno quanto ama la letteratura, prova pietà per loro anche mentre danno il peggio, e Silvia Avallone non è mai indifferente al loro destino. “Tu cosa sceglieresti al posto suo? Ti sei mai messa nei suoi panni? Cosa sceglieresti: una vita di merda con te o una vita favolosa con un’altra madre?”.

 

E’ il romanzo delle scelte, quando la vita dice che non c’è più tempo per rannicchiarsi fra il termosifone e il muro o per restare alla finestra a pensare di buttarsi giù, o per aspettare un padre che non arriva mai e quando arriva è troppo poco. Sopra questo affannarsi di rincorse e di sbagli e di rimmel colato, calze a rete, palazzoni che sembrano lombrichi e casette ordinate in cui si esplode di infelicità, sopra i soldi e sopra il parcheggio dell’Ospedale Maggiore, sopra mia sorella, il benzinaio, la primavera, la scuola da abbandonare o da riacciuffare, Parigi, le promesse, gli sms lividi, l’eroina, c’è il momento perfetto della vita nuova di Bianca, nata da un minuto, ancora senza ciglia, e con tutta la vita davanti.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.