Ansa
Il Bi e il Ba
Il retroscena esiste se c'è una scena
Tutte le merci del retrobottega ora sono traslocate in vetrina: non c'è bisogno di nessuna spia e nessun dietrologo per capire che, dietro al "piano di Trump" in 28 punti, c'è il Cremlino
Un tempo, quando in politica esisteva qualcosa degno di esser chiamato scena, aveva senso parlare di retroscena; e c’era motivo di riferirsi al sottobosco, implicando indirettamente la presenza di un bosco. In quell’epoca, che sembra oggi remotissima, i servizi segreti tramavano soltanto nell’ombra, e queste loro operazioni occulte autorizzavano i dietrologi – mestiere che, alludendo a un dietro, presupponeva per l’appunto l’esistenza di un davanti – a lanciare le congetture più spericolate. Ne ricordo una: e se i comunicati delle Brigate Rosse all’epoca del sequestro Moro li avesse confezionati il Kgb? Lo ipotizzò il diplomatico Renzo Rota, a cui parve di riscontrare nel secondo comunicato brigatista ventisette formule-spia, cioè espressioni italiane innaturali che tradivano una diretta derivazione dal russo. La sua teoria non convinse quasi nessuno, ma non è questo il punto.
Oggi il retroscena si è mangiato la scena così come il mare erode i litorali, il sottobosco fa ormai tutt’uno con quel che resta del bosco, il Kgb ha un suo uomo al Cremlino e i dietrologi hanno il torcicollo a forza di girarsi, via via che tutte le merci del retrobottega sono traslocate in vetrina. Così, per esempio, sappiamo dagli analisti che il famigerato piano di pace in ventotto punti presentato dagli Stati Uniti a Zelensky è infarcito di espressioni che nessun americano userebbe, ma che messe in bocca a un moscovita o a un pietroburghese suonano del tutto naturali – un po’ come quei “babbino” e “colombello” di cui traboccano certe traduzioni italiane dei romanzi russi. Una differenza con le vecchie congetture dei dietrologi c’è, però: stavolta le formule-spia non sono ventisette, sono ventotto – l’intero testo del piano Trump.