
Giovanni Pandico (Ansa)
Il Bi e il Ba
La lingua dei giudici e dei pentiti
Della parlata di Armando Olivares, procuratore generale d'udienza nel processo d'appello contro Enzo Tortora, Sciascia fece una disamina impietosa. E Giovanni Pandico parlava un italiano identico a quello della lettera di Totò e Peppino. Tra i due una "funerea somiglianza"
Stenio Solinas, recensendo per il Giornale "Portobello" di Marco Bellocchio (le prime due puntate sono state presentate lunedì a Venezia), ha notato la “funerea rassomiglianza” tra il linguaggio del pentito Giovanni Pandico e quello dei magistrati che misero in bella copia giuridica le sue calunnie. Possibile, si domanda, che lo stato parlasse come l’anti-stato? Non solo possibile, dico io, ma sintomatico. L’italiano ampolloso, dialettale e sintatticamente lambiccato del giudice Armando Olivares, procuratore generale d’udienza nel processo d’appello contro Tortora, fu sottoposto da Leonardo Sciascia a una disamina impietosa su Panorama; l’italiano di Pandico, sebbene fosse perfino più intrigante nelle sue stratificazioni gergali, non ha destato uguale curiosità, eccezion fatta per qualche osservazione in un ottimo libro – mai tradotto in Italia – del sociolinguista Marco Jacquemet (Credibility in court, Cambridge University Press 1996).
Potremmo dire, in prima approssimazione, che Pandico parlava lo stesso italiano della leggendaria lettera di Totò e Peppino, infarcito di latinismi maccheronici (Tortora “camorrista a honorem”, pronunciato con l’accento sulla e), di antilingua burocratica, di giuridichese orecchiato, di svolazzi letterari. E’ un italiano di cui Alberto Moravia, parlando d’altro, diede una volta la ricetta precisa: “Gergo aulico e ‘statale’ su fondo dialettale”. E non credo fosse molto diverso – salvo innesti di sinistrese – dall’italiano dei brigatisti del fronte senzaniano che proprio in quegli anni, in carcere, si scoprirono congeniali alla camorra di Cutolo in nome della comune lotta al sistema. Lo stato e i due anti-stati, com’è noto, si trovarono oscuramente implicati nel sequestro Cirillo (e secondo molti l’affaire Tortora servì a occultare i postumi di quello scandalo). Inutile dire che s’intesero a meraviglia, e Cirillo fu liberato. Per Tortora, che parlava una lingua a loro incomprensibile, le cose non filarono altrettanto lisce.

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