Ansa

Il Bi e il Ba

Un'inarrestabile demolizione, da destra a sinistra

Guido Vitiello

I lavori di ammodernamento che i partiti italiani avevano tentato dagli anni Novanta in poi, ora sono trattati come abusi edilizi: a destra si sgombra dagli ultimi cimeli l'attico liberale-liberista di berlusconiana memoria; a sinistra sono tutti rivolti ad abbattere l'ecomostro del renzismo

Le ruspe sono al lavoro. I timidi ammodernamenti che i partiti italiani avevano apportato dagli anni Novanta in poi sono oggi trattati alla stregua di giganteschi abusi edilizi, delle costruzioni avventizie e malferme che hanno snaturato il precedente stile urbanistico e deturpato un paesaggio familiare. A rigore le prime ordinanze di demolizione erano già state emanate lo scorso decennio, nei postumi della crisi economica, ma gli interessati hanno messo seriamente mano ai cantieri solo qualche anno più tardi. A destra, dove avevano già abbattuto a suo tempo la Torretta dell’Elefantino dell’architetto Fini, stanno sgombrando dagli ultimi cimeli l’attico liberale-liberista (almeno a chiacchiere) dalla cui terrazza abusiva si affacciava Berlusconi; ne resterà in piedi a lungo la facciata, però, se non altro perché le antiche fondamenta pentapartitiche sono ormai ruderi inservibili, e Meloni non ce la fa a reggere sulle sue spalle l’intero edificio.

Ma è a sinistra che i lavori si sono fatti più fervidi e metodici, specie sotto la sferza degli alleati della Edilvaffa srl, che opera da quindici anni come impresa di demolizioni. Tutti gli sforzi della segreteria Schlein, infatti, sono rivolti ad abbattere l’ecomostro del renzismo, l’abuso più pacchiano, un intollerabile esempio di gentrificazione politica, per poi svellere anche le sue fondamenta – il Veltroni della vocazione maggioritaria, il D’Alema blairiano – così da tornare al rassicurante stile rustico dell’agriturismo tardo-berlingueriano, magari piazzando all’interno del casale una bella scala mobile disegnata nei primi anni Ottanta e, già che ci siamo, mettendo a pascolare nel corridoio la mucca di Bersani. Insomma, avevamo scherzato. E noi, che in quell’ambizioso piano di sviluppo urbanistico degli anni Novanta avevamo creduto almeno un poco, cosa dobbiamo concluderne? Che avevamo comunque ragione? Temo di no. Ma di questo parliamo domani.