Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi (LaPresse)

Il Bi e il Ba

Superare la melanconia liberale

Guido Vitiello

Ci pensiamo condannati a essere sconfitti in partenza. E' stata da poco depositata in Cassazione una proposta di legge per reintrodurre l'immunità parlamentare, su iniziativa della Fondazione Einaudi, dei Radicali e altri movimenti. Ma si è accennato che la legge non passerà mai, che è solo una prova di resistenza. E se invece ritrovassimo il gusto di vincere? 

Ci vorrebbe un La Rochefoucauld per tratteggiare uno degli stati d’animo politici più elusivi e impalpabili: la melanconia liberale. Nessuno si è avvicinato a farlo più di Edmondo Berselli, nella pagina di Venerati maestri che descrive il rituale dell’evocazione di Luigi Einaudi: “Fare una pausa e scuotere il capo con un misto di reverenza e insofferenza, quindi arricciare il naso, sollevare un labbro e, quando si è mostrato un rictus da grand grotesque, finalmente sbottare: eh sì, sono state proprio inutili, quelle prediche”. Un’altra formula di cui volentieri ci compiacciamo, specie noi garantisti, ossia i liberali del diritto, è la sciasciana “a futura memoria”. Sotto parole come queste ribolle una mescolanza insincera di impotenza e di orgoglio, diciamo pure una superbia infeconda, a cui si avvinghia facilmente un manieristico vezzo signorile. Eccone il sottinteso: abbiamo ragione ma siamo condannati a essere inascoltati; dunque facciamo ciò che è doveroso fare, da stoici diligenti, ma senza speranza di vittoria, solo per testimoniare che la nostra opinione è esistita, e per predicare inutilmente a futura memoria.

L’altro ieri la Fondazione Luigi Einaudi, i Radicali Italiani, la rivista L’Europeista e altri movimenti hanno depositato in Cassazione una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per reintrodurre l’immunità parlamentare. Ero pronto ad arruolarmi nella battaglia, finché ho trovato, sulla pagina di un promotore per il quale nutro grande stima, l’ammissione a mezza bocca che questa legge non passerà mai, ma che ugualmente “va messa agli atti, come una prova di resistenza”. A questo siamo, dunque? Non so quale sia il rimedio alla melanconia liberale; so però che prefigurando sentimentalmente le sconfitte finiremo nostro malgrado per attirarcele, e anche i pianeti si allineeranno lungo le coordinate della nostra arrendevolezza. E se invece ritrovassimo il gusto di vincere, e di convincere? La causa liberale non ha bisogno di sentinelle fiaccate dall’atrabile. Reclama truppe fresche sul fronte.