
LaPresse
Il Bi e il Ba
Perché astenersi non è diabolico
Il raggiungimento del quorum significa vittoria certa del sì, e dunque votare no equivale a votare sì. L'unica via per il no è l'astensione, a meno che non vogliate tanto bene a quel vecchio arnese malridotto che è il referendum
Sia il vostro votare sì, sì; no, no; il di più, ovvero l’astensione, viene dal maligno, ovvero da Ignazio La Russa, che con quel pizzetto mefistofelico ha indubbiamente il physique du rôle. Magari la teologia referendaria fosse così semplice! Astenersi non è diabolico. L’8 giugno del 2005, quattro giorni prima della tornata referendaria sulla procreazione assistita, Benedetto XVI citò in udienza generale un passo dall’epistolario di Barsanufio di Gaza, scrittore cristiano del sesto secolo (“Che cosa è principio di sapienza se non astenersi da tutto ciò che è odioso a Dio? E in che modo uno può astenersene, se non evitando di fare alcunché senza aver domandato consiglio?”), nel quale le menti sospettose e iper-politicistiche credettero di leggere, o più probabilmente allucinarono, un invito a disertare le urne; causa per cui del resto si stava spendendo il cardinal Ruini senza bisogno di frugare negli archivi della patristica.
La questione è piuttosto intricata se si considera che siamo tutti, politicamente, nel territorio del diavolo, e non certo per colpa nostra. Da più di vent’anni, infatti, lo scontro referendario non è tra il sì e il no, è tra il sì e l’astensione. Il raggiungimento del quorum significa vittoria certa del sì, dunque votare no equivale a votare sì, e astenersi è il vero modo per votare no. A meno che. A meno che si voglia così bene al reverendo referendum – vecchio arnese malridotto che potrebbe tornarci utile nel futuro prossimo – da accettare di correre il rischio di perdere, pur di tenerlo in vita. Per questa ragione l’8 giugno ritirerò almeno una scheda, quella del quesito sulla cittadinanza, e dirò tre gloria patri alla memoria del padre apostolico Giacinto da Teramo.