Tutte le anime del Pd (e di Pisapia) che non s'arruolano per la guerra romana

Cristina Giudici

I rischi di scissione passano in sordina nel capoluogo lombardo, dove si pensa a come ripartire dalla batosta referendaria

Se a Roma i parlamentari sembrano già arrivati al totonomi su chi seguirà Massimo D’Alema e chi invece no, a Milano lo psicodramma all’interno del Partito democratico è in sordina. Certo, la minoranza insiste con il solito refrain “prima il congresso, poi il voto”, ma persino i renziani (che a Milano non rappresentano la maggioranza) paiono più concentrati sul modello meneghino che porterà in primavera alla conferenza programmatica. Focalizzati su ciò che la parlamentare renziana Simona Malpezzi definisce un “percorso d’ascolto”. Obbligatorio dopo la sconfitta referendaria arrivata fino alle porte della città. Si comincia oggi con una serie di incontri sia nel capoluogo sia nell’area metropolitana con gli iscritti e con quelli che i dirigenti del Pd chiamano in gergo politichese i “primaristi”. Ossia tutti i cittadini che hanno votato alle primarie. “Tutti chiedono solo due cose: lavoro e maggior sicurezza”, riflette Malpezzi, con i piedi ancorati al territorio metropolitano e un occhio vigile sull’iter legislativo della legge elettorale che lei auspica più conforme alla vocazione maggioritaria del Partito democratico.

 

Certo, come Malpezzi, anche tutti gli altri supporter di Renzi sanno che più prosegue il governo guidato da Paolo Gentiloni e più il rischio dell’“effetto bar” pacifico del governo in carica (copyright Chicco Mentana) rischia di bruciare i desiderata dell’ex premier. Ma a Milano tutti, minoranza, renziani doc e renziani critici stanno pragmaticamente puntando sui 16 incontri a propedeutici alla conferenza programmatica metropolitana per riorganizzare le truppe, ripensare la selezione della classe dirigente e soprattutto recuperare il consenso per mantenere la guida de comuni più importanti guidati dal Pd alla tornata amministrativa che si avvicina, probabilmente a giugno. La divisione su congresso, voto, legge elettorale pesa anche a Milano, ma per ora rimane sullo sfondo. E persino Onorio Rosati, consigliere regionale che viene dalla Cgil ed è stato uno dei pochi a Milano a esporsi sul fronte del No al referendum, non si sbilancia sul progetto Consenso dell’ex leader Massimo: “Guardo con interesse e curiosità a ciò che fa Massimo D’Alema, ma il Pd è il mio partito”, afferma. “Ora il panorama è fluido e navighiamo a vista”, scherza. E sul progetto dell’ex sindaco Giuliano Pisapia di accorpare pezzi di sinistra, Rosati avverte: “Non deve essere una piattaforma per dare una mano a Renzi, ma a tutto il partito”.

 

Il segretario del Partito democratico metropolitano, Pietro Bussolati, afferma di avere una priorità: “Unire il Partito democratico metropolitano sulla conferenza programmatica che dovrebbe permettere di intercettare maggiormente il territorio. E servire a fare finalmente l’analisi sull’esito referendario per rilanciare il riformismo, da sempre molto radicato a Milano”. A giudicare dai diversi interlocutori interpellati dal Foglio, a Milano il partito è meno lacerato. Anche perché ci sono quei 9 comuni con più di 120 mila abitanti guidati dal Pd che devono essere riconquistati. A cominciare da Sesto San Giovanni, strategico per l’area metropolitana, considerato anche l’enorme investimento (privato) in corso nell’ex area Falck.

 

Spiega il segretario del Pd di Sesto, Marco Esposito: “Solo con un percorso unitario il Pd potrà mantenere la guida del comune. Con una scissione daremmo una grande vantaggio ai movimenti populisti”. Anche se il parlamentare cuperliano Francesco Laforgia ha annunciato su Facebook: “Senza una discussione sul progetto da presentare al paese, sulle alleanze e sulla leadership, il Pd rischia di spaccarsi”. Aggiungendo il link per una petizione: http//primailcongresso.it/. E’ la classica quiete prima della tempesta? O nella città simbolo del buon governo della sinistra sono davvero tutti uniti per recuperare lo scollamento emerso dal referendum? In febbrile attesa per ciò che accade a Roma, si assiste al duello Renzi-D’Alema, ma con la presunzione di continuare ad essere autonomi per portare avanti il modello-laboratorio Milano. Attraverso un sostegno trasversale al sindaco Beppe Sala. E forse gli unici che non vedono l’ora di menare le mani con i post comunisti riuniti dall’ex leader Massimo sono i miglioristi, che ora hanno fondato il circolo “Meriti e Bisogni” guidato da Massimo Ferlini e animato da Sergio Scalpelli. Con un pedigree nella battaglia ai comunisti cominciata 40 anni fa. 

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