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Breve storia tragicomica dei flop politici (e giudiziari) per arrestare l'inquinamento

Fabio Massa

A Milano quando si parla di ambiente le iniziative strampalate non mancano mai: dalle domeniche a piedi all'Area C è una lunga storia di insuccessi

Fino a qualche tempo fa rimanevano i cartelli, tondi con dentro il limite dei 70 all’ora, girati di sbieco e coperti da un sacco nero per impedire che gli automobilisti si confondessero. Pare passata una vita, ma gli allarmi smog ci sono sempre stati, a Milano, e ci saranno. Tecnicamente poco utili. Era il 2011 e Guido Podestà presidente della Provincia. Non c’era ancora Area C ma c’era già Ecopass. Le domeniche a piedi sarebbero arrivate due anni dopo, Berlusconi imperava, Letizia Moratti era sindaco, Formigoni era Celeste. Podestà decise che avrebbe fatto viaggiare tutti in tangenziale a 20 km all’ora in meno. Figurarsi: tre corsie per senso di marcia, centinaia di migliaia di auto. Tutti a meno 20. Risultati concreti? Zero. Lo smog non calò di un microgrammo. Dopo un po’ nessuno prestò più attenzione a quel 70 nel tondo, e nessuno si premurò di far multe. Poi i cartelli vennero incappucciati e infine – anni dopo – rimossi. Quando si parla di ambiente le iniziative strampalate non mancano mai. Solo due anni prima la procura di Milano aveva deciso di aprire un’inchiesta sull’inquinamento atmosferico. In una rassegna dello stupidario ambientalista, quell’inchiesta non può mancare. Come in un copione grottesco, a scatenarla fu un esposto del Codacons. Fascicolo aperto nel 2009, nel 2010 ci finiscono dentro Letizia Moratti, Formigoni, Podestà e pure il compianto Filippo Penati, che della provincia era l’ex presidente. L’accusa? Omissione di atti d’ufficio. Alla fine gli avvocati dimostrano che no, non c’erano atti d’ufficio da fare. Forse mai come in quel momento si capì che lo smog se ne frega della politica, figurarsi della magistratura. Ipotizziamo sia sensibile solo alla scienza, ma quando ci sono di mezzo il populismo ambientalista e le mattane che ne conseguono c’è poco da fare. L’inchiesta fu archiviata.

Ma andare indietro negli archivi offre anche qualche aneddoto gustoso. L’allora vicesindaco, oggi senatore di Fratelli d’Italia, Riccardo De Corato se la prendeva con l’allora giovanissimo Matteo Salvini, reo di aver dato il via libera alla riapertura delle auto nel centro di Milano sotto la giunta Formentini, e che poi invece aveva cambiato idea, invocando la chiusura integrale del centro storico. Nel 2011 arriva Giuliano Pisapia e l’Ecopass, ovvero una pollution charge, diventa una congestion charge (ovvero una tassa sugli autoveicoli). Area C. All’inizio però l’introduzione viene giustificata con l’idea che possa contribuire a ridurre l’inquinamento. Per giustificare tutto questo nasce Amat, l’Agenzia mobilità ambiente territorio, e un nuovo valore: il Black Carbon. Anno di inizio del monitoraggio 2012, anno di fine 2013. Che cosa dirà Amat? Primo: che all’interno di Area C questo Black Carbon è fino al 59 per cento più basso che fuori da Area C. Secondo: che le domeniche a piedi riducono il Black Carbon del 78 per cento. Tutto utile, tutto vero? Non troppo, perché intanto Arpa, l’Agenzia regionale protezione ambiente che ora Beppe Sala usa per contrastare altri strani ed esotici indici, scrisse nero su bianco che sì, l’inquinamento calava del 13 per cento durante le domeniche a piedi, ma diventava doppio rispetto al normale una volta che tutto si rimetteva in moto. Risultato: fine delle domeniche a piedi. E l’Area C? Semplicemente si affermò che non serviva all’ambiente ma a ridurre il traffico. Neanche troppo però, se l’autunno scorso ha registrato l’aumento quasi in doppia cifra degli accessi delle auto malgrado fosse aumentato anche il ticket.

Il breviario dei tentativi falliti potrebbe andare avanti a lungo. Ma c’è da annoverarne almeno un altro. Fin dai primi anni 2000 si diffuse la credenza che forse “lavare” l’asfalto avrebbe potuto risolvere parzialmente il problema delle micropolveri. Nel 2010 l’allora assessore Paolo Massari decise di fare un test nelle vie che portano in piazzale Loreto. Test fallito: lavare non serviva a niente. Ma, e questo ha dell’incredibile, malgrado i dati inconfutabili del 2010, nel 2015 Milano ci riprovò (indovinate i risultati); nel 2016 ci provò Roma e pure Torino. Senza successo. Eppure a gennaio 2020, prima del Covid, a Torino ci hanno riprovato. Senza successo. Ad Ancona nel novembre 2020, idem. E poi Rovigo, Vicenza. In tempi di archivi aperti e di Internet pare incredibile che ogni città debba sbattere il muso sugli stessi fallimenti.

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