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L'Ortomercato che metteva paura ora è il futuro del food

Fabio Massa

Area bonificata (anche dalla mala), Foody 2025 sarà agro-economia sostenibile. Ce la racconta il presidente Cesare Ferrero

 Dalle finestre del palazzo direzionale di Sogemi, la società che gestisce l’Ortomercato di Milano, si vedono i lavori che cambieranno un pezzo della città. Cesare Ferrero, 59 anni, presidente della società, stende la mano e promette: “Riusciremo a completare il progetto come previsto, tra due anni”. Il progetto di cui si parla è Foody2025. Prevede 350 mila metri quadrati di superficie in corso di realizzazione e un piano di investimenti complessivo di mezzo miliardo di euro tra pubblico e privato. Un bel pezzo è stato fatto: nel 2022 sono state completate le prime due piattaforme logistiche di oltre 27 mila mq complessivi. Si vede il primo dei due padiglioni che andranno a costituire il nuovo mercato ortofrutticolo che entro aprile del 2024 sarà completato. Tutto bello? Sì, ma serve un piccolo rewind.
 

Natale 2019. Nessuno si sarebbe potuto immaginare che da là a due mesi sarebbe esploso il Covid che avrebbe bloccato le nostre vite e tutti i cantieri. Il sindaco di Milano Beppe Sala (“Ci conosciamo da anni e anni”, racconta Ferrero) decide di effettuare il consueto brindisi di Natale presso la sede di Sogemi proprio per annunciare Foody. Giornalisti incuriositi, per quell’anno niente sala dell’Orologio tra stucchi e pizzette. Pranzo placèe e un progetto che pareva fantascienza per un luogo, l’Ortomercato finito nelle cronache più per la ’Ndrangheta, la corruzione, eccetera eccetera, che per altro. “Il risultato è che per venire qui a lavorare da noi, nel consiglio di amministrazione, non è che c’è tutto questo sgomitare”, dice sorridente Cesare Ferrero, uno che ha la fama di dire pane al pane e vino al vino. “Eppure non mi hanno mai mandato proiettili, e quando sono arrivato ho detto di no alla scorta. Non ce l’ha il sindaco di Milano, e devo avercela io? Anche no. Poi, le cose basta dirle senza dare mai false speranze, e tutto funziona come deve funzionare. Certo, questo posto è duro…”.  Perché? “Perché qui si vive di notte. I grossisti arrivano alle 23, quando i milanesi si ritirano dai ristoranti e vanno a letto. E lavorano fino alla mattina. Trattano su ogni vendita per guadagni magari di 10 centesimi. Vivono un mondo durissimo, con lavoratori che vengono pagati anche pochissimo, e che devono combattere ogni notte. Un mondo che pensiamo di aver ripulito dalle organizzazioni criminali ma che ancora ha lati opachi: ogni mercato può essere una ottima occasione per riciclare”.

Insomma, una vita complicata. “Molto. Anche qui da noi c’era chi pensava che poteva venire in ufficio alle 9.30, tranquillamente. Ma qui alle 9.30 non c’è nessuno, è come andare a fare il broker di Borsa quando i mercati sono chiusi: che senso ha?”. Chissà se il riferimento è a Stefano Zani, l’ex direttore generale, finito agli arresti nell’ambito di un’inchiesta su una presunta corruzione nel 2019. Probabilmente, conoscendo il carattere spigoloso di Ferrero, la risposta è sì. “A me al massimo mi regalano una cassetta di radicchi, e io ricambio con una buona bottiglia di vino”, scherza. Se gli si chiede che cosa pensa della sovranità alimentare, fa tutta una ricognizione sullo stato di salute della società milanese. “Hanno sbagliato termini. Non dovevano chiamarla sovranità, ma sostenibilità alimentare. E non parlo solo del lato ambientale, ma anche e prima di tutto sociale ed economica. Basta venire a vedere questo mercato quando è aperto al pubblico. Ci sono famiglie che comprano prodotti non premium a carrettate, e poi li imbarcano sui mezzi pubblici, per tornare a casa. Ma è proprio sulla qualità del cibo che si capisce quanto è in crisi questo modello. Del resto: chi si può permettere di comprare un branzino a 40 euro al chilo, spendendo magari 60 euro per una cena in famiglia? Pochissimi. E allora ci si accontenta del pesce decongelato, pescato due anni prima e poi trasportato da una cella all’altra. Oppure si abbassa la qualità. Invece di un filetto buono si compra un filetto mediocre. E poi, per tornare alla sovranità: ma lo sapete che tutto il pesce del Mediterraneo basta per un mese al fabbisogno europeo?”.

Ferrero potrebbe scriverci sopra un trattato, sul mondo visto dalle fessure di una cassetta di frutta o verdura, o spiando tra una costata e una vaschetta di triglie. Ma torniamo al progetto. Lancia un messaggio alla Regione Lombardia. “Qui stiamo facendo un polo europeo che è il più grande d’Italia. Questo è un fatto, lo dicono i numeri. Non è una questione solo di Milano, è un a questione direi almeno regionale se non proprio di area vastissima. Il mercato di Parigi o quello di Barcellona sono sistemi di importanza strategica enorme, e così vengono ritenuti. Penso che la Regione dovrebbe riflettere se vuole capire e vedere quello che stiamo facendo; noi siamo a disposizione”. Di certo quella di Ferrero è un’impresa non da poco, con il piglio del montanaro. “Sono stato tanti anni a Courmayeur. Quando uno come me vede la cima non pensa alla fatica, ma alla cima. E poi un giorno un mio nipote mi ha aperto gli occhi: per fare certe cose meglio chiedere scusa che chiedere permesso”.
 

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