Foto di Jae C. Hong, AP Photo, via LaPresse 

Gran Milano

Gli infermieri sono (e resteranno) la vera emergenza della sanità

Daniele Bonecchi

"Perché mai un giovane dovrebbe affrontare una laurea quinquennale per guadagnare 1.600 euro al mese?" chiede la consigliera dem Carmela Rozza. In Lombardia serve altro personale sanitario, ma bisogna cambiare mentalità

"In Italia viviamo di emergenze ma ora bisogna voltare pagina, anche perché in Lombardia la situazione del personale sanitario è drammatica, lo ha riconosciuto anche il ministro Schillaci”, spiega al Foglio Alessandro Alfieri, senatore varesino del Pd, a lungo consigliere regionale, fresco di nomina nella segreteria Schlein. Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, proprio ieri infatti ha dovuto ammettere che “la vera carenza è sugli infermieri; sui medici abbiamo una gobba pensionistica, ma in realtà non mancano così tanti medici. Verrà aumentato il numero degli iscritti a Medicina ma i risultati si vedranno tra 6-8 anni”.

Quindi, “dobbiamo agire per far tornare i medici nel pubblico rendendo più attrattivo il Ssn. Sugli infermieri stiamo cercando soluzioni”. Continua Alfieri: “Già anche durante il Covid abbiamo registrato una forte carenza di personale sanitario, l’abbiamo affrontata (anche col governo Draghi, ndr) rendendo più flessibile l’arrivo di infermieri dall’estero. Con norme che consentono ancora oggi di andare in deroga rispetto all’iscrizione all’albo professionale, verificando standard e criteri con strumenti alternativi. Abbiamo prorogato i termini d’ingresso degli infermieri stranieri fino alla fine del 2023. Ora le strutture sanitarie – in molti casi al collasso – chiedono di prorogare la deroga, perché hanno imparato ad attingere dall’estero dove ci sono scuole affidabili, non solo quella cubana ma anche dalla Tunisia, dalla Romania e da altri paesi sudamericani come il Paraguay. Però è un problema strutturale e occorrerebbe una normativa di prospettiva, che tenga conto del fabbisogno di personale dall’estero in molti campi, non solo sanitario”.

La Lombardia è in grave sofferenza anche perché, in vista dell’attuazione della riforma sanitaria di Letizia Moratti ha bisogno di 26.850 nuovi infermieri, al netto di un inesorabile turnover. Oggi sono 65 mila gli infermieri al lavoro in Lombardia, le esigenze immediate parlano di 10 mila nuovi ingessi mentre altri 21 mila andranno in pensione a breve. Le iscrizioni alla facoltà di riferimento languono mentre crescono gli abbandoni dopo il primo anno e l’utilizzo del personale che arriva dall’estero è limitato alle strutture private. “In Lombardia c’è un’emergenza nell’emergenza, nella zona al confine con la Svizzera, dove c’è una concorrenza spietata, gli stipendi del personale sanitario (e non solo) sono il doppio di quelli lombardi. Noi formiamo infermieri ad alto livello che poi vanno a lavorare in Svizzera, col risultato che oggi, soprattutto nelle Rsa, c’è una situazione drammatica. Occorre subito una busta paga più pesante per gli infermieri anche se la differenza resta siderale”. Tocca alle Aziende sanitarie andare alla ricerca di personale proveniente da paesi stranieri, anche perché le frontiere restano aperte fino a dicembre 2023. “Ma ora servono risposte legislative strutturali, subito”, conclude Alfieri.

“È la Regione che deve sollecitare il governo per dare certezza ai flussi di lavoratori da altri paesi. Noi – spiega Samuele Astuti, consigliere regionale del Pd – siamo assolutamente favorevoli ad assumere personale infermieristico dall’estero”. Un’idea, del resto, di cui era stato pioniere a suo tempo don Luigi Verzè: ma allora sinistra e sindacati si opponevano. Intanto dalla Regione lamentano i molti bandi pubblici andati deserti, mentre le strutture private hanno le mani più libere sui salari e un’offerta di servizi più efficaci: “La programmazione delle assunzioni di personale sanitario è in sofferenza”, spiegano. “L’arrivo di forze nuove, di infermieri dall’estero aiuta ad affrontare l’emergenza ma non risolve il problema – spiega Carmela Rozza, infermiera qualificata e ora consigliere regionale del Pd – innanzitutto perché nelle strutture pubbliche occorre essere cittadini italiani (fatti salvi i contratti con le cooperative che impiegano personale straniero) e poi perché serve una svolta radicale nella professione. Perché mai un giovane dovrebbe affrontare una laurea quinquennale per guadagnare 1.600 euro al mese? È tutta qui la crisi delle vocazioni infermieristiche.

Un medico, nella peggiore delle situazioni, guadagna 4.600 euro, mentre il lavoro dell’infermiere, turni compresi, è davvero duro. Nella mente delle persone l’infermiere è un lavoratore della sanità di serie B, perché a occuparsi di salute sarebbero solo i medici”. Sembra una strada senza uscita, ma una soluzione sembra affacciarsi. “Occorre dare fiducia alla categoria e serve anche una maggiore autonomia professionale. Con le associazioni di categoria stiamo lavorando per ridisegnare il profilo operativo dell’infermiere e pensiamo che il traguardo possa essere il direttore assistenziale”, conclude Rozza.