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E fatece magna'. Dietro il boom di ristoranti romani a Milano

Gianluca Roselli

Si moltiplicano i ristoranti di cucina romana a Milano. Perché sempre maggiore è il numero di nativi della Capitale che si trasferiscono in città per lavoro e, una volta a tavola, vogliono sentirsi a casa. Chissà se lo scambio funzionerebbe lo stesso anche a parti invertite

Per buona parte degli anni dieci ce n’era una sola e dominava incontrastata. Ma negli ultimi tempi ne sono nate molte altre e specie dopo l’Expo c’è stato il boom. Parliamo delle osterie romane, che a Milano vanno parecchio. Alcune ottime, altre un po’ meno. Qualcuno lo spiega anche per i recenti nuovi arrivi: sono sempre di più, infatti, i romani che per lavoro negli ultimi anni si sono trasferiti nel capoluogo lombardo. E trovare i piatti della tradizione capitolina li fa sentire un po’ a casa. Ma il motivo del successo non è solo questo, anche perché le osterie romane in città sono frequentate soprattutto da milanesi. “Io ho aperto nel marzo 1999 ed ero l’unico. Avevo solo 28 posti, un buchetto, ma dopo un mese avevo già la fila fuori. Quello di Milano è un pubblico esigente, molto curioso, aperto alle novità. Quando ho iniziato non c’erano i social e il cibo non era mediaticamente centrale come oggi, funzionava il passaparola, che per un ristoratore resta il sistema migliore”, racconta David Ranucci, titolare di Giulio pane e ojo, che non poteva che stare a Porta Romana (via Muratori 10). Oggi Giulio è sempre un’istituzione e si è ingrandito con ben 9 sale per circa 200 coperti. E sempre lì Ranucci ha aperto altre attività, come Cirioletta, Abbottega, Pizzottella e Casatua, un suo ristorante è anche a Miami. “Vedo che ora sono arrivati altri e ne sono felice. L’importante è che anche i nuovi facciano la vera cucina romana…”, osserva Ranucci, un filo scettico. La sua è una famiglia di ristoratori, Giulio era suo nonno, ma David ha gestito anche discoteche a Roma, come il Bella blu e l’Open Gate.

 

Uno degli ultimi arrivati è Felice a Testaccio, succursale della celeberrima osteria della Capitale, quella dove ti mantecano la cacio e pepe al tavolo, davanti agli occhi. Qui sta dalle parti di via Torino (via del Torchio 4). Aperto da più tempo è invece Rugantino, alle colonne di San Lorenzo (via dei Fabbri 1), che forse, per la posizione, rischia di essere un po’ turistico. Poi ce ne sono due quasi omonimi: più antico è Cacio e pepe in zona Navigli (viale Gian Galeazzo 3), di più recente apertura Cacio e pepe Bottega romana in zona 22 Marzo (via Anfossi 2). Pure in Brera non poteva mancare un pizzico di Colosseo: in via della Moscova 25 ecco Volemose bene, con tovaglie a quadretti d’ordinanza, atmosfera popolare e porzioni abbondanti. Tornando verso est, in zona Dateo (via Melloni 40) troviamo invece Nonna Maria, dall’aria assai trendy, con mattoncini a vista e un bel verde alle pareti. A Porta Venezia, nel cuore della nuova movida di via Melzo e dintorni, ecco Ponte Milvio (via Spallanzani 6), mentre non lontano da Porta Romana c’è l’Osteria da Maurino. Uno di più antica data è l’Osteria Angelino (via Fabio Filzi 9). Tra le ultime aperture, infine, ci sono altri tre locali d’importazione: Ba’ Ghetto (via Sardegna 45), che nella Capitale sta appunto al ghetto ebraico ed è specializzato in cucina giudaico-romanesca; l’Osteria delle Commari in zona Farini (via Civerchio 9), molto chic; infine Trapizzino (in via Marghera, a Porta Romana e sui Navigli), locale di street food di successo ormai internazionale (c’è pure a New York) che fa una sorta di cono-pizza con dentro polpette al sugo e altri classici.

 

Da notare che a Roma ristoranti milanesi non ce ne sono. “Forse dipende dal fatto che i romani sono più diffidenti verso le novità”, osserva David Ranucci. “I piatti tipici milanesi non sono tantissimi e forse si pensa che non funzionerebbe. Invece potrebbe avere successo, a patto di stare a Roma nord, da Fleming ai Parioli, fino a Prati. Ecco, non aprirei alla Garbatella…”.

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