Beppe Sala è stato riconfermato, al primo turno, sindaco di Milano (LaPresse)

Gran Milano

Beppe Secondo, politico più che re, guarda molto lontano

Fabio Massa

A osservare le prime mosse, la strada sembra già tracciata. Sala non terrà deleghe e ragiona da leader, con aspirazioni che vanno ben oltre Milano. E tra un anno e mezzo si apre lo spiraglio di Regione Lombardia e quello del governo nazionale

A osservare le prime mosse di Beppe Sala, la strada pare già tracciata. Si parte con due regole di vita del sindaco riconfermato. Uniamo i puntini per capire il percorso. Beppe Sala nella sua prima conferenza da sindaco riconfermato, martedì mattina in Sala Alessi, con una cravatta verde forse in onore del proprio partito, forse per sfottere quello di Salvini (che risultato! che risultato!), ha elencato di fatto due punti programmatici. Primo: la questione delle case popolari tra Aler e MM Spa. Competenza regionale, dialogo con la Regione. O scontro, questo lo si vedrà. Secondo: la questione delle case della salute previste dalla nuova legge 23, elaborata dalla vicepresidente Letizia Moratti, che pure vuole diventare numero uno di Regione Lombardia tra un anno e mezzo. Ha ribadito che non accetta che il dialogo passi sopra la sua testa, con i vertici di Anci Lombardia, ma vuole essere consultato e avere voce in capitolo.

 

Insomma, ha deciso che vuole parlare con regione di competenze regionali. Primo indizio sulla sua prossima sfida. Altro indizio. Niente deleghe. Beppe Sala non si tiene deleghe, riconferma Christian Malangone (il motore del Comune) pubblicamente, e privatamente tutti gli altri (Mario Vanni, Stefano Gallizzi, Marco Pogliani). Non si tiene deleghe, e le distribuirà tutte, perché evidentemente vuole fare politica. E fare politica e intervenire, interloquire, ascendere a un altro ruolo è il primo passo per una nuova sfida. Terzo indizio. Aveva detto che sarebbe stato discontinuo, ma le prime indiscrezioni parlano di una giunta che è sì discontinua nelle persone, ma non nelle logiche. Sala non sceglie da solo, ma sceglie di compattare la maggioranza, e in particolare di rispettare il super risultato del Partito democratico milanese, che è guidato da Silvia Roggiani. Sala non finisce dentro la buca del problema Maran lavorando proprio con Roggiani (se fossero confermate le indiscrezioni), e cerca di soddisfare le istanze di competenza, la regola delle preferenze e pure un po’ di manuale Cencelli tra liste e correnti. I nomi si vedranno prima o dopo il weekend, e dunque è questione di ore, ma la logica un po’ si è capita. Ed è una logica da leader politico, e non solo da sindaco. 

 

Ultimo dettaglio. Tra un anno e mezzo si apre lo spiraglio di Regione Lombardia e quello del governo nazionale. In entrambi i casi, si tratta di sfide con il paracadute. Basta ricordarsi Giorgio Gori: fallì la scalata al Pirellone, ma tornò a fare il sindaco e poi venne anche riconfermato. Dunque, l’incompatibilità scatta un minuto dopo la vittoria. In caso contrario, si aggiunge un tassello alla visibilità del sindaco oltre le mura della città, e comunque rimane aperta la via che porta a Roma. Beppe Sala questo lo sa. E sa che per parlare a 10 milioni e mezzo di persone, con la Lega che non ha perso Varese, con il messaggio anti-regionale del 2020 che si affievolisce, ha bisogno dei partiti, ha bisogno dei sindaci, ha bisogno degli stakeholder. A guardare i tre indizi, pare che possa essere questo il suo obiettivo. Se poi sia alla portata, lo dirà il tempo perché 18 mesi sono un’èra geologica. 

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