(Ansa)

GranMilano

Centrodestra milanese. Farsi male da soli

Fabio Massa

Il candidato a destra non c’è. Ma lo schiaffo di Albertini è soprattutto per Salvini
 

Una vecchia vignetta di Ellekappa ai tempi del Cav. imperante: “Non c’è accordo nel centrosinistra. Ognuno vuole preparare la sconfitta a modo suo”. La freddura vale anche oggi, ma a parti invertite per il centrodestra milanese. Poi si sa, la politica offre sempre colpi di scena incredibili e questa magari è la volta che da una lite senza fine tra Matteo Salvini, Giorgia Meloni e un Silvio Berlusconi silente potrebbe venire fuori il coniglio dal cappello che sfilerà la poltrona a Beppe Sala. Ma è improbabile. Soprattutto dopo il sonoro schiaffone a cinque dita di Gabriele Albertini, che ha preso in pieno soprattutto Salvini: essendo il proponente e l’insistente, nonché l’unico dei tre a volersi giocare una partita di peso nazionale, a Milano. Perché Albertini, con sublime perfidia, riesce in un piccolo capolavoro: unire i leader del centrodestra, chiuderli tutti in un angolino e poi dire il suo no a reti unificate. Certificando la fine dell’esperimento “pesca in mari stranieri” da parte di Salvini.

 

 

Al quale era riuscito il colpaccio (oggettivamente geniale) in Regione, imponendo a Forza Italia Letizia Moratti. Ma non è riuscito il colpo fotocopia, come i gol di Dario Hubner, con  Albertini. Perché la prima volta il Cavaliere aveva dovuto dare la sua benedizione, forse irretito dal paso doble del segretario leghista. La seconda invece Berlusconi è stato zitto, immobile, e nel suo silenzio è maturato lo schiaffo dell’ex sindaco. Ne pagherà le conseguenze Salvini. E dunque? Dunque è il fallimento di una strategia politica che, come al solito, comporta un pagamento immediato in termini di potere, poiché si inserisce in un gioco assai più complesso di primazia a livello nazionale tra Salvini e Meloni.

 

 

La leader di Fratelli d’Italia ha tutto da guadagnare da questo stallo, considerato che Milano non è la piazza su cui si gioca la faccia: è il campo di Salvini, e se Salvini perde la sua partita su un suo candidato, non ci sarà da addolorarsi troppo dalle parti di Ignazio La Russa & Co. Peraltro Meloni, sfruttando il boost dell’opposizione al governo di tutti, ha fatto notizia per aver sopravanzato il Pd nei sondaggi, ma la polpa è che si è anche avvicinata pericolosamente alla Lega. E Salvini lo sa, così come sa che governare insieme al Pd e al M5s è un eccellente diserbante di voti, una sorta di sfollagente elettorale nei confronti del proprio elettorato arrabbiato con le politiche rigoriste. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia si sono riuniti ancora ieri alle 14 per cercare di trovare la quadra sulle città, e i nodi sono Milano e Roma, ma la riunione è stata più che altro un pro forma, poiché i numeri uno erano assenti.

 

Ma torniamo a Milano. Fallita l’operazione Albertini, con danni, si cerca la ritirata strategica: non c’è nessun nome di rilievo nazionale e di riconoscibilità immediata che voglia sfidare Beppe Sala, che infatti martedì a ora di pranzo era rilassato, in una giornata di sole, agli Orti di Leonardo sul retro della Fondazione Stelline (che peraltro aspetta una soluzione dal Comune per tutta una serie di problematiche amministrative in capo a Palazzo Marino). Sala era alla presentazione della sua lista Milano in salute, eccellente operazione elettorale, priva però di qualunque peso reale (il Comune non ha potere normativo e pratico sulle politiche della Sanità territoriale, a meno di volerle declinare in termini urbanistici o ambientali). Per usare una metafora tipo Gaza, è più che altro un missile puntato sulla Regione, capace di riaccendere la guerra sulla gestione della pandemia anche se Sala oggi predica la pace con Attilio Fontana. E del resto il buon andamento vaccinale ha zittito anche i facinorosi del Pd.

 

 

Insomma avanti piano, tanto gli altri stanno proprio fermi, inchiodati. I nomi a destra sono sempre quelli, e la sintesi è impietosa: Maurizio Lupi è un buon candidato conosciuto dalla gente ma divisivo all’interno dei partiti, gli altri (Riccardo Ruggiero e non solo) sono  sconosciuti alla gente ma unificano i partiti. Logica interna o esterna? Sotto sotto, tutti si aspettano che sia il Cav. a trovare la soluzione, come ha fatto sempre. Ne sarebbero forse quasi sollevati. Si capirà presto se il vecchio leone ha ancora l’inventiva per la zampata vincente oppure se la logica sarà quella, tutta tattica, del nuovo corso di Salvini, insidiato dal nuovissimo corso di Giorgia Meloni.