il foglio review

La copertina del Foglio Review raccontata da Agostino Iacurci

Gaia Montanaro

L'illustratore che l'ha disegnata ci presenta “Natale”, la cover del nuovo numero del magazine del Foglio, in edicola da sabato 17 dicembre

Le immagini di Agostino Iacurci sono sconfinamento, ricerca di una relazione costante con il contesto. E poi colori potenti che hanno già in essere una grandiosità e che esprimono un’identità precisa. Colori che sono essi stessi il disegno.

 

Tutto questo ben si vede nella cover della Review di dicembre, in cui Iacurci ci ha raccontato di un Natale di guerra dove però non mancano segni di speranza.

 

Che Natale racconta la sua illustrazione?

Un Natale di guerra; l’abete natalizio diventa una sorta di paesaggio attraversato da un nastro che è una strada con un gruppo sparuto di case a fare addobbi, la ghirlanda è un filo spinato, le candele diventano dei flebili lampioni. Nonostante ciò, volevo far emergere un elemento di speranza, attraverso un uso dei colori caldi e lasciando l’albero saldamente attaccato al terreno, ancora vivo e vegeto.

 

Qual è stato il processo creativo che l’ha portata a illustrare la cover del Foglio Review, “Natale”?

L’immagine è nata dal dialogo con Pasquale Gioffrè, art director del Foglio Review. Abbiamo parlato del tema generale del numero, il Natale che ci apprestiamo a “celebrare” nel bel mezzo di un conflitto che stenta a trovare pace. Abbiamo quindi avuto diversi scambi che hanno portato all’immagine finale, lo ritengo un risultato corale.

 

Come sceglie i colori per le sue illustrazioni? Che cosa raccontano di aggiuntivo/complementare rispetto al disegno?

Ho un uso dei colori molto istintivo e diretto, vale anche per il modo in cui compongo le immagini. Parto volentieri dalle soluzioni più ovvie, un abete verde, il rosso natalizio. Poi calibro le tonalità secondo la mia sensibilità fino a trovare un equilibrio che restituisca l’atmosfera che ho in mente. Lavoro per giustapposizioni di campiture colorate, quindi i colori sono essi stessi il disegno.

 

Nel suo lavoro, molto spesso si è misurato con immagini di grandi dimensioni. Ha una potenzialità di racconto diversa lavorare su formati ampi?

Sicuramente la potenzialità è diversa, non saprei dire se maggiore o minore. Parlando in termini generali ci sono vignette realizzate su pochi centimetri di carta che hanno scatenato polemiche e tragedie, e al contrario lavori monumentali passati nella totale indifferenza.

Per me più del formato conta il contesto. Lavorare in grande permette alle immagini che creo di sconfinare nel paesaggio. È paradossale perché se si dipinge un palazzo, anche se enorme, alla fine si finisce per occupare solo una piccola porzione dello sguardo dell’osservatore, perché c’è appunto il resto del paesaggio, il cielo, la strada, la città.

Mentre sulla cover di un giornale o su un quadro l’immagine è totalizzante, il riquadro catalizza totalmente la nostra attenzione. Quando posso anche in editoria e in pittura cerco di sconfinare, rompere gli argini.

  

Nelle sue illustrazioni, utilizza differenti registri per raccontare (ad esempio nella recente illustrazione per l’estratto del prossimo racconto di Salman Rushdie per il New Yorker, all’apparenza più concettuale). Come sceglie il tipo di linguaggio e di meccanismo espressivo per illustrare?

 

Mi lascio guidare dal contesto e dal processo, cercando di costruire immagini aperte, sospese. Dal punto di vista formale spesso è l’impaginato a suggerirmi la soluzione, ad esempio cercando il dialogo con la testata nel caso di Review o con il testo nella pagina accanto nel caso del New Yorker.

Sia la cover di Natale che il brano di Rushdie affrontano temi drammatici, in entrambi i casi ho cercato di introdurli senza calcare la mano, cercando un equilibrio tra la violenza e innocenza.

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