Otto von Bismark

L'eterno Bismarck

Andrea Affaticati
Padre della patria, spregiudicato nazionalista. Un mito scomodo che la Germania e la sua politica estera ricordano con molte cautele.

Il conflitto nell’Europa dell’est, lo sgretolarsi delle strutture statali in medio oriente circondano ormai l’Europa come un cerchio di fuoco”, osservava recentemente lo storico Michael Stürmer, che poi proseguiva: “La Germania, un peso massimo al centro dell’Europa, riveste una funzione chiave nel tentativo di spegnere i vari incendi, ed è soprattutto la Kanzlerin a dover interpretare in tutto ciò un ruolo particolare”. Parole che suonano ancora più importanti alla luce del duecentesimo anniversario dalla nascita di Otto von Bismarck, che cadrà il prossimo 1° aprile. L’allora cancelliere di ferro si era proposto di fare della Germania il perno dello scacchiere mondiale. Ed è stata la ricorrenza bismarckiana ad aver indotto il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, qualche giorno fa, a incontrare, tra un viaggio a Kiev, uno a Ramallah, un altro Mosca e ancora una tappa a Baghdad e una a Varsavia, gli studenti dell’“Evangelisches Gymnasium zum Grauen Kloster”. Non un ginnasio qualsiasi, ma quello nel quale studiò per l’appunto il giovane Bismarck. “Certo non era uno scolaro modello”, ha esordito Steinmeier per rompere il ghiaccio con i ragazzi. “Andava bene nelle materie che lo interessavano, meno in quelle che lo annoiavano, e comunque sui libri si metteva solo poco prima di un’interrogazione. Insomma era uno studente stagionale… Eppure devo ammettere che quel ragazzo mi sta simpatico”. Anche perché, nonostante tutto, Bismarck parlava un numero sorprendente di lingue straniere, tra queste anche il russo. E la storia era stata la sua materia preferita.

 

Un’attestazione di simpatia che però riguarda solo lo studente, si è affrettato ad aggiungere Steinmeier, per il quale la successiva carriera – quella che fece di Bismarck il Cancelliere di ferro – non andrebbe invece presa a modello. Certo, ha raccontato il ministro, nel ministero degli Esteri, nella cosiddetta “Stanza Bismarck”, c’è un ritratto del cancelliere. E in quella stanza ogni mattina i più alti funzionari degli Esteri si incontrano per confrontarsi sullo stato del mondo. Il perché di quel ritratto, è poi presto detto: “Bismarck è stato il fondatore del ministero degli Esteri, ed è questo lascito che il suo ritratto vuole ricordare”. Per Steinmeier peraltro “Bismarck non è un eroe, ma nemmeno un farabutto. Queste categorie morali non si addicono all’analisi storica”.

 

Visti però i tempi tutt’altro che pacifici, e il crescente peso della Germania nello scacchiere internazionale, sono giusti i paralleli che qualcuno ogni tanto azzarda, tra il passato e il presente? Stando a un recente sondaggio commissionato dalla Fondazione Körber, i tedeschi si rivelano particolarmente scettici nei confronti della politica estera del loro paese. Tanto che, alla domanda relativa alle responsabilità che dovrebbe assumersi la Germania sullo scacchiere internazionale, il 60 per cento degli intervistati ha risposto: “Dovrebbe continuare a tenere un profilo basso”. Vent’anni fa, il rapporto era inverso. A quanto pare, hanno commentato Claus Christian Malzahn e Daniel Sturm sulla Welt, questo scarso entusiasmo per un ruolo più decisivo del proprio paese potrebbe spiegarsi con una radicata convinzione della doppiezza tedesca, come sostiene il politologo Herfried Münkler. Perché, così Münkler, “è sempre più guidata dalla logica di difendere gli interessi peculiari della Repubblica Federale. Anche se poi pubblicamente si parla di condivisione di valori e di amicizia”. E quando qualcuno, nella fattispecie l’ex capo di stato Horst Köhler, a proposito delle navi pirata che minacciano ancora oggi certe rotte commerciali, qualche anno fa aveva detto: “Un paese delle nostre dimensioni, con la nostra attenzione alle esportazioni e il nostro ricorso al commercio estero, deve sapere che in caso di emergenza gli interventi militari possono essere necessari per proteggere i nostri interessi”, la reazione dei media e dell’establishment politico era stata così violenta, da indurlo a dimettersi. L’opinione pubblica invece, pur non approvando, deve avergli creduto, come si potrebbe dedurre dal sondaggio. D’altro canto la Germania resta uno dei più grandi esportatori di armi. Nel 2014 il valore complessivo di materiale bellico ha raggiunto i 5,8 miliardi di Euro, il 25 per cento in più, rispetto al 2012.

 

In un bellissimo saggio, apparso all’inizio dell’anno scorso sul settimanale Zeit, lo storico Volker Ullrich aveva già ripercorso le orme di Bismarck, ne aveva tracciato l’ascesa difficoltosa, i trionfi, la successiva caduta, quasi repentina, e il culto della persona che subito dopo la sua dipartita da Berlino aveva preso corpo. Bismarck resta sino a oggi il politico più odiato e amato al tempo stesso. Un sentimento che l’allora giovane principe dei critici teatrali Alfred Kerr aveva riassunto all’indomani della morte di Bismarck, il 30 luglio del 1898, con le seguenti parole: “Apprendere la notizia della sua morte è stato come sentirsi trafitti da una scossa e da un tremore… anche se si fa fatica ad ammetterlo. E’ stato come se l’odio provato per una vita verso quest’uomo, avesse lasciato il posto alla consapevolezza di quanto in fondo lo si fosse sempre risentitamente amato”.

 

Bismarck era nato il 1° aprile del 1815 a Schönhausen sull’Elba, l’anno in cui al Congresso di Vienna si ridisegnava la carta geografica della vecchia Europa. Suo padre, Ferdinand von Bismarck, apparteneva a un antico casato prussiano, la madre Wilhelmine Mencken a una famiglia di alti funzionari e scienziati. Era cresciuto nel rispetto del rigore e dell’ordine. Così, finiti gli studi a Berlino, città troppo caotica e disordinata per i suoi gusti, se n’era tornato nei poderi paterni. Per un po’ aveva fatto lo Junker, il latifondista. Ma non era quella la sua vocazione. Voleva sfuggire agli angusti confini che il mondo paterno gli poteva offrire. E finalmente arrivò l’incontro giusto, quello con i fratelli Leopold e Ludwig von Gerlach, due politici ultraconservatori, il cui appoggio sarebbe stato decisivo per muovere i primi passi in politica, per essere eletto nel Vereinigten Landtag. Referenze che però gli valsero l’immediata ostilità dei liberali. “Militarismo interno e guerre contro i vicini” ecco cosa si aspettavano da lui. E Bismarck, a dire il vero, sulle prime non fece nulla per ingraziarsi i detrattori. Anzi. Nominato cancelliere dal re Guglielmo I il 23 settembre del 1862, presentando il suo governo espose con chiare e durissime parole la sua idea di politica: “Non è né con i discorsi, né con le decisioni prese a maggioranza, che si risolvono le grandi questioni del nostro tempo: pensarlo è stato il grande errore degli anni 1848 e 1849. Le grandi questioni si risolvono invece con il ferro e con il sangue (‘mit Eisen und Blut’)”. Il discorso paralizzò i deputati e unì contro di lui liberali e progressisti. Bismarck non se ne curò. Aveva chiaro in testa quel che voleva, l’unificazione della Germania, e quell’obiettivo l’avrebbe centrato. Gli ci volle però pazienza, lavoro certosino anche su principi e regnanti. Si accollò i debiti dell’ormai completamente squilibrato Ludwig, per avere infine anche i bavaresi dalla sua parte. E così, sostenuto e amato da tutti, sfidò la Casa d’Austria. La prima vittoria la conseguì il 3 luglio del 1866 nella battaglia di Sadowa (o Königgrätz, come la chiamano i tedeschi). Una vittoria sul campo, fondamentale anche per la sua immagine in patria. Di colpo, divenne l’uomo più osannato del paese. Pure Theodor Mommsen, allora lo storico più autorevole, si lasciò trascinare dall’entusiasmo. “E’ una sensazione meravigliosa assistere dal vivo al compiersi della storia” scriveva. Da quel momento in poi la macchina da guerra tedesca non conobbe battute d’arresto. Fino alla sconfitta della Francia di Napoleone III, nel 1870, alla quale seguì l’unificazione della Germania. L’ultimo atto di trionfo, e di sfregio contro gli odiati vicini, fu l’incoronazione di Guglielmo II a Kaiser in uno dei luoghi più sacri per la Francia, la Reggia di Versailles. Ma con quell’atto Bismarck aveva anche raggiunto lo zenith del potere. A mettergli i bastoni tra le ruote sarebbero arrivati il crollo della Borsa nel 1873 e la successiva crisi economica, che colpì un paese solo da poco affrancatosi dall’economia agricola. Così, ben presto l’entusiasmo cedette il passo alla delusione. Poco condivisa era anche la guerra che Bismarck aveva dichiarato agli apparati ecclesiastici (Kulturkampf). Il che spiega come mai, quando infine, nel marzo del 1890, Guglielmo II si decise a destituirlo, i commenti suonarono molto simili a quelli che avevano accompagnato la sua ascesa. Questa volta lo storico Ullrich cede la parola allo scrittore Theodor Fontane, l’autore di “Effi Briest”: “E’ una fortuna essersene sbarazzati… La sua grandezza ormai apparteneva al passato”. Il popolo si dimostrò meno ingrato. Già il 29 marzo, il giorno della dipartita del cancelliere da Berlino, a migliaia si assieparono lungo la strada che conduceva dal Palazzo del Reichskanzler alla stazione, per salutare ancora una volta chi aveva reso grande e temuta la Germania sul piano internazionale. Una divisione tra intellettuali e popolo, che già otto anni dopo, all’annuncio della morte di Bismarck sembrava scomparsa. Tutti lo ricordarono come colui che aveva forgiato il carattere della loro nazione. Bismarck era, infatti, riuscito a imporre anche al resto della Germania, fin giù alla meridionale e dunque più indisciplinata Baviera, un tratto prussiano. Il culto della persona non si esaurì, peraltro, nel giro di poco tempo. Nel 1906 la città di Amburgo gli dedicava una gigantesca scultura che oggi si trova nel parco cittadino Alter Elbpark. Lì la statua di Bismarck si erge come un colosso, tutto d’un pezzo, costretto in quella uniforme rigida, con l’enorme spada sulla quale poggia le mani. E poi il mito si trasformò in utile cavallo di battaglia. Le aspirazioni imperialistiche, il desiderio di dominio, la sete di rivalsa verso chi continuava a non trattare la Germania come una potenza alla pari, lo facevano rimpiangere come l’unico statista capace di dare una forma ai sogni tedeschi. E gli storici del tempo si guardarono bene dal ridimensionare la persona. Anzi. Il 1° aprile del 1915, nel centesimo anniversario della nascita e con la Prima guerra mondiale già in corso (alla quale i tedeschi avevano aderito entusiasti, cullati anche dalla speranza di ritornare invincibili come ai tempi del cancelliere di ferro), ci furono celebrazioni e commemorazioni mai viste prima per solennità e partecipazione.

 

[**Video_box_2**]Ora è prossimo un nuovo anniversario. Questa volta però, pare esservi una generale concordia nel tenere la ricorrenza il più possibile sotto tono. Molti tedeschi condividono probabilmente il giudizio di Steinmeier su Bismarck: non è stato né un eroe, né un farabutto. E anche per questo resta un personaggio scomodo, che impone una gestione estremamente cauta. Sia nei riguardi dell’opinione pubblica nazionale che di quella estera. A riassumere recentemente con parole efficaci la figura e l’eredità di Bismarck è stato lo Spiegel con il titolo: “Il sogno tedesco, un trauma europeo”. Nel sommario proseguiva poi: “Un grande stato territoriale domina il continente: in occasione del duecentesimo anniversario di Otto von Bismarck si possono tracciare anche parallelismi preoccupanti con la Repubblica federale tedesca sotto la guida di Angela Merkel. La Germania del Cancelliere di ferro sfociò però in un incubo”. Certo, a Steinmeier non sarà piaciuto il paragone tra la politica bismarckiana e la politica estera dell’era Merkel. E non solo perché, come ha detto ai ragazzi del ginnasio: “I modelli del passato non possono essere riprodotti in scala uno a uno…”.

 

Bismarck, ha ricordato Steinmeier, diceva: “Per quel che riguarda la politica estera, il mio ideale è l’indipendenza delle decisioni. Le decisioni non devono essere influenzate dalla simpatia o antipatia verso certi stati e regnanti”. Il che, ha spiegato, vuol dire che per il cancelliere le alleanze tra stati forgiate sulla base di valori comuni non potevano che intralciare il raggiungimento di obiettivi d’interesse squisitamente nazionale. E questa logica, ha sottolineato Steinmeier, è stata letale, come ha dimostrato la politica operata dal Cancelliere di ferro nei confronti della Francia. L’annessione dell’Alsazia-Lorena è stata secondo alcuni storici contemporanei uno dei più gravi errori commessi da Bismarck. Perché da quel momento in poi la sete di rivalsa armò l’esercito francese nella Prima guerra mondiale e accecò i diplomatici nello stilare il trattato di Versailles, gettando così il seme dell’odio tedesco sfociato nella Seconda guerra mondiale.

 

Oggi, ha detto Steinmeier ai ragazzi del ginnasio, la politica estera tedesca persegue la via della collaborazione, del colloquio e del compromesso con i paesi più o meno vicini. Certo, un modo di procedere ancora da perfezionare, come si legge in un saggio dell’analista Kai-Olaf Lang pubblicato nell’ultimo numero della rivista di geopolitica New Eastern Europe. Nel 2004, quando la Polonia entrava nell’Ue e nella Nato, le relazioni tra Berlino e Varsavia erano ancora molto tese. Oggi, invece, sulla questione ucraina si lavora insieme. Nei giorni della rivolta di Maidan si costituì il “Gruppo di Weimar”, del quale facevano parte i ministri degli Esteri tedesco, francese e polacco. E’ vero che con l’annessione della Crimea da parte della Russia quella triade è stata sostituita dal cosiddetto “Gruppo Normandia” (Merkel, Hollande, Putin, Poroshenko). Una decisione che ha portato peraltro Roman Kuzniar, uno dei consulenti più stretti del capo di stato polacco Bronislaw Komorowski, a rammaricarsi dell’esclusione del suo paese e a constatare: “Quando si tratta della sicurezza della nostra regione, non possiamo contare sulla Germania”. Ciò nonostante proprio dalla Polonia arriva anche la considerazione che, pur avendo la Germania tuttora un approccio eccessivamente cauto nei confronti della Russia – non ultimo perché Berlino si preoccupa dell’approvvigionamento energetico della Germania – la crisi russo-ucraina ha costretto i tedeschi a farsi portavoce di una posizione sempre più europea e non esclusivamente nazionale.

 

ùErano state le vittorie sul campo, che avevano assicurato a Bismarck l’entusiastico appoggio del popolo. Oggi quel favore popolare non si ottiene più con l’interventismo (l’Iraq, la Libia qualche anno fa, il Kurdistan, la guerra all’Is, la guerra in Ucraina lo dimostrano: l’opinione pubblica tedesca è contraria). E Steinmeier ha deciso di percorrere un’altra strada. L’anno scorso aveva avviato il programma Review (appena conclusosi), una tavola rotonda nazionale con centinaia di dibattiti e momenti di incontro in tutto il paese, ai quali i cittadini erano stati invitati a partecipare, per dire la loro su come il paese debba reagire alle nuove sfide, dall’Ucraina alla pandemia di ebola.

 

E’ probabile che Bismarck si stia rivoltando nella tomba, perché il credo tedesco di oggi è l’esatto opposto di quello che aveva animato lui.

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