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la lettera

La trasparenza non è un'ossessione, è democrazia. Petrelli risponde al Fatto

Francesco Petrelli

Sapere quante richieste di custodia cautelare presentate dai pm vengono accolte dai giudici non serve a puntare il dito contro alcuno. Ma a consentire ai cittadini di capire come funziona davvero la giustizia. Senza dati il dibattito scivola su percezioni, slogan ed emotività. Le parole del presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane

Pubblichiamo la lettera del presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane a proposito dei dati sulle richieste di misura cautelare accolte dai gip. Una risposta all'articolo pubblicato il 30 novembre sul Fatto Quotidiano


In risposta all'articolo pubblicato il 30 novembre sul "Fatto Quotidiano", che descrive la nostra richiesta di dati sulle misure cautelari come una "ossessione" e una "spasmodica ricerca di numeri", desidero condividere alcune riflessioni che ritengo necessarie, non per alimentare polemiche ma per rispetto di chi sarà chiamato ad assumere una decisione che inciderà profondamente sull’assetto della giustizia.

La richiesta di conoscere i dati sulle misure cautelari non è — e non è mai stata — una mossa politica, né tantomeno un attacco alla magistratura, con cui gli avvocati penalisti si confrontano ogni giorno nelle aule. È qualcosa di molto più semplice: trasparenza.

A questo scopo, l’Unione delle Camere Penali Italiane ha avviato una ricerca nazionale rivolta agli Uffici GIP dei tribunali italiani, con l’obiettivo di raccogliere dati aggregati relativi agli anni 2022, 2023 e 2024 sulla percentuale di accoglimento delle richieste di misure cautelari personali e reali formulate dalle Procure. Si tratta di informazioni di natura statistica la cui conoscibilità costituisce un presupposto essenziale per valutare con consapevolezza l’effettivo funzionamento del sistema.

Non ricorrerò a slogan, ma alle parole dell’allora ministra Marta Cartabia, la quale ha autorevolmente insistito sulla necessità di sviluppare una “cultura del dato”, ricordando che l’accessibilità delle informazioni costituisce un “dovere di trasparenza verso i cittadini”. Le istituzioni devono rendere chiaro su quali elementi fondano le loro decisioni: questo è il presupposto di una democrazia matura e la condizione per ricostruire fiducia tra lo stato e la comunità dei consociati.

È esattamente ciò che chiediamo. Sapere quante richieste di custodia cautelare presentate dai pubblici ministeri vengono accolte dai giudici non serve a puntare il dito contro alcuno. Serve a consentire ai cittadini di capire come funziona davvero la giustizia. Senza dati, il dibattito — soprattutto in vista di un referendum — non può che scivolare su percezioni, slogan ed emotività.

Il referendum è il momento in cui la parola torna direttamente al corpo elettorale. Come si può chiedere ai cittadini di esprimersi con consapevolezza senza metterli nella condizione di conoscere i fatti e i dati?

Sottolineiamo inoltre che la nostra richiesta non è una supplica, né un atto di cortesia istituzionale: è un richiamo a un dovere giuridico di trasparenza. L’accesso ai dati non è una concessione benevola: discende dal principio di buon andamento e dalla responsabilità pubblica delle istituzioni.

Per questo respingiamo fermamente l’idea che chiedere numeri possa equivalere a voler “indirizzare” o “condizionare” qualcuno. Chi è davvero convinto della solidità del sistema non teme la luce dei dati. Perché la trasparenza non indebolisce le istituzioni: le rafforza.

E se a qualcuno la nostra richiesta potrà sembrare un’“ossessione”, noi continuiamo a chiamarla per ciò che è: democrazia. Un dibattito serio sul referendum, qualunque posizione ciascuno decida di assumere, deve essere fondato su elementi verificabili, non su narrazioni.

Noi chiediamo soltanto che la comunità dei cittadini sia messa nella condizione di comprendere la realtà della giurisdizione. E siamo certi che proprio la magistratura — forte della sua cultura istituzionale e del suo ruolo costituzionale — non accetterà di essere rappresentata come un potere che teme la trasparenza.

Perché la fiducia — nel diritto, nelle istituzioni, nella giustizia — non si invoca: si costruisce, e si difende, con la verità dei dati.

 

Francesco Petrelli, presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane