doppiopesismo
Il Csm vuole chiedere i danni a Palamara, ma non al condannato Davigo
Il Consiglio superiore della magistratura è intenzionato a chiedere 200 mila euro al protagonista dello scandalo delle nomine come risarcimento per danni all'immagine, ma nulla all'ex consigliere Davigo, condannato in via definitiva per rivelazione di segreto d'ufficio
Duecentomila euro: è la somma che il Consiglio superiore della magistratura è intenzionato a chiedere all’ex consigliere Luca Palamara, tramite un’azione civile, come risarcimento per i danni di immagine provocati dallo scandalo delle nomine pilotate al Csm. La delibera, elaborata dall’ufficio studi del Csm su richiesta del comitato di presidenza, dovrebbe essere discussa – salvo sorprese – al plenum di oggi. L’iniziativa del Csm risulta paradossale sotto innumerevoli punti di vista. Innanzitutto perché Palamara viene di nuovo individuato come unico responsabile dello scandalo del 2019, che non fece altro che rivelare l’esistenza di una degenerazione delle procedure interne al Csm (soprattutto le nomine ai vertici degli uffici giudiziari) a opera delle correnti, già nota agli addetti ai lavori.
E’ vero, come si ricorda nella proposta di delibera, che Palamara ha patteggiato in due processi una pena complessiva a un anno e quattro mesi per il reato di traffico di influenze illecite (contro la ben più grave accusa di corruzione ipotizzata inizialmente). Nella delibera si rende noto anche che Palamara ha già “risarcito” il Csm – che si era costituito parte civile nei suoi processi – con 64.500 euro (stessa somma è stata versata al ministero della Giustizia). Al Csm però evidentemente questa cifra non basta, da qui la valutazione di avviare un’azione civile per ricevere ulteriori 202.817 euro come risarcimento per i danni all’immagine dell’istituzione determinati dallo scandalo del 2019. Una vicenda definita “di eccezionale notorietà” e “che, per la sua capacità di resistenza all’offuscamento dei ricordi, continua, anche attualmente, a indebolire gravemente l’immagine e del Csm e dell’intera magistratura”.
Si dà il caso, però, che Palamara sia stato solo uno dei protagonisti, il più noto, dello scandalo, che invece ha coinvolto decine e decine di magistrati, che partecipavano con Palamara all’attività di condizionamento delle procedure interne al Csm oppure sollecitavano l’ex leader di Unicost per ottenere incarichi prestigiosi. Condotte, anche queste, finite sulle prime pagine dei giornali. Eppure al Csm non è venuto in mente di avviare alcuna azione civile nei confronti di questi magistrati né tantomeno nei confronti delle correnti, vere protagoniste in negativo dello scandalo. Ancora una volta, l’intenzione del Csm sembra quella di addebitare ogni colpa a Palamara.
Ulteriore aspetto paradossale dell’iniziativa del Csm è che questa arriva a sei anni e mezzo di distanza dallo scandalo, proprio mentre la magistratura (tramite le correnti e l’Anm) ha deciso di andare alla “battaglia” contro la riforma costituzionale voluta dal governo e approvata dal Parlamento, usando come argomento anche quello secondo cui lo scandalo Palamara sarebbe soltanto un cattivo ricordo.
Ma a rendere veramente surreale l’azione del Csm è il doppiopesismo che ne è alla base. Se il Csm volesse davvero tutelare la propria immagine alla luce di condotte distorte e illecite da parte di suoi componenti, dovrebbe infatti avviare un’azione civile di risarcimento danni anche nei confronti dell’ex consigliere Piercamillo Davigo, condannato in via definitiva a un anno e tre mesi per rivelazione di segreto d’ufficio in una vicenda molto grave: Davigo convinse un magistrato, il pm milanese Paolo Storari, a farsi consegnare i verbali coperti da segreto degli interrogatori resi da Piero Amara sulla fantomatica loggia Ungheria, e poi ne rivelò il contenuto a svariati membri del Csm, di cui all’epoca faceva parte, e persino a un senatore, Nicola Morra.
Il Csm non solo non si è costituito parte civile nel processo contro Davigo (al contrario di quanto avvenuto con Palamara), ma ora sembra pure voler ignorare la sentenza di condanna emessa a carico dell’ex consigliere. La coerenza non è di casa al Csm.