l'intervista

Diciassette anni sotto indagine: il racconto di Paola Stanzani

Ermes Antonucci

Parla l'ex vicepresidente del gruppo bancario Delta, finito nel 2008 al centro di un'incredibile vicenda giudiziaria ora archiviata. Il ricordo dei giorni trascorsi in carcere, la fine della carriera, i mille posti di lavoro persi e le accuse ingiuste

“Come si vive 17 anni da indagati? Si sopravvive. Si perde il lavoro, si perdono gli amici, si vedono morire le persone, si vedono morire le aziende, si vedono disfatte famiglie. Penso ai mille posti di lavoro persi dopo il commissariamento del gruppo. Insomma, si vive un’amarezza incredibile”. A parlare, intervistata dal Foglio, è Paola Stanzani, ex vicepresidente del gruppo bancario Delta con sede a Bologna, finito nel 2008 al centro di un’incredibile vicenda giudiziaria che abbiamo raccontato su queste pagine la scorsa settimana. La procura di Forlì accusò di riciclaggio i vertici di Delta, tra cui Stanzani e l’allora presidente, Mario Fantini (poi deceduto), e della Cassa di risparmio di San Marino (Carisp), tra cui il presidente Gilberto Ghiotti e il direttore generale Luca Simoni. 
Cinque dei quaranta indagati vennero arrestati sotto i riflettori della trasmissione “Report”. Paola Stanzani trascorse 21 giorni in carcere e sei mesi ai domiciliari. Al termine di un iter giudiziario lunghissimo e schizofrenico, nelle scorse settimane il procedimento è stato archiviato, dopo addirittura diciassette anni. Peccato che nel frattempo il gruppo Delta sia stato commissariato e mille posti di lavoro siano andati in fumo, insieme a circa 700 milioni di euro che erano stati investiti nella società dalla Cassa di risparmio di San Marino.

 

“Dopo gli arresti l’azienda è stata commissariata. Era un’azienda sana, eppure mille persone hanno perso il posto di lavoro dalla sera alla mattina. Non è intervenuto nessuno per difendere il gruppo e i dipendenti, neanche i sindacati, solo perché i lavoratori erano bancari”, dice ora Stanzani, prosciolta insieme a tutti gli altri indagati “perché il fatto non costituisce reato” (ad assisterla l’avvocato Massimiliano Annetta).

 

Stanzani ricorda ancora i 21 giorni trascorsi nel carcere di Forlì: “A parte il disorientamento nel non capire il motivo per il quale ero stata messa in carcere, di quel periodo ricordo la grande umanità dei detenuti. Molti di loro erano bisognosi di aiuto, non parlavano e non capivano l’italiano, per questo mi sono improvvisata traduttrice. Nonostante avessero bisogno di tutto, queste persone mi hanno aiutato tanto. Erano disponibili a darmi un francobollo, che per loro era oro, per aiutarmi a scrivere qualcosa. Ho trovato veramente un’umanità inimmaginabile”. 

 

“La notizia dell’indagine venne ripresa con grande enfasi dagli organi di informazione”, ricorda ancora Stanzani. “Abbiamo subìto un danno mediatico enorme. Eravamo già colpevoli fin dal primo giorno. Chi leggeva quanto veniva riportato dalle misure cautelari pensava ‘queste persone qualcosa avranno fatto’, è evidente”. 

 

I danni professionali della vicenda giudiziaria sono stati ingenti, non solo per Stanzani: “Ho dovuto lasciare il lavoro. Non potevo essere più persona onorabile né professionale per ricoprire ruoli nei settori che conoscevo. Ho perso tutto, non ho più lavorato. Per fortuna ero in un’età pensionabile e sono andata in pensione. Una scelta imposta. Ma penso a coloro che hanno perso il lavoro in un’età più giovane e hanno dovuto affrontare difficoltà immense per rientrare nel mondo del lavoro, visto il marchio di ‘indagati’ che li ha accompagnati per tutti questi anni”, sottolinea l’ex vicepresidente di Delta. 

 

“Non hai mai capito il perché di quelle accuse”, prosegue Stanzani. “Non potevano stare in piedi. Non si fa del riciclaggio con un furgone portavalori che dalla Banca d’Italia va verso una banca sammarinese. Presumo si faccia in altri modi. Non li ho mai capiti i motivi di questa vicenda. Vedere un capo di imputazione lungo 500 pagine già rendeva evidente che l’indagine aveva qualcosa di singolare”. 

 

Ha il sospetto che dietro la vicenda ci sia ancora qualcosa di non chiaro? “Direi qualcosa di non capito. Ci sono state mosse accuse di ostacolo alla vigilanza quando avevamo avuto nove ispezioni della Banca d’Italia in tre anni. Allora o gli ispettori non sono capaci di fare il loro mestiere o c’è qualcosa che non torna. C’è stata una costruzione a tavolino che non ho mai capito, ma penso che non lo capirò mai. Perché costruire un reato che non c’era?”. 
 

Di più su questi argomenti:
  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]