Fabio Pinelli (foto Ansa)

l'intervento

Pinelli (Csm) alle giovani toghe: "I magistrati non sono autorità morali"

Redazione

Il discorso del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura al Quirinale ai magistrati in tirocinio: "Non confondere mai etica e diritto. L'imparzialità è la radice fondante dell'essere magistrato. Bisogna adottare uno status psicologico che sia pregno della cultura del dubbio"

“Il magistrato non è un’autorità morale del Paese e non deve mai confondere etica e diritto. Accerta responsabilità individuali o dirime controversie tra parti private tutelandone i diritti fondamentali; non è invece portatore di generali valutazioni sui fenomeni sociali onde correggerli o indirizzarli”. Lo ha detto il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli, rivolgendosi ai magistrati ordinari in tirocinio al Quirinale per l’incontro con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

“L'imparzialità – ha aggiunto Pinelli – è la radice fondante dell'essere magistrato. Bisogna adottare uno status psicologico che sia pregno della cultura del dubbio. In altri termini, acquisire la capacità di mettere in discussione i propri convincimenti, le proprie tesi, essere capaci di fare un passo indietro. Il dubbio scorre nel sangue delle menti aperte almeno quanto la certezza incrollabile scorre nel sangue delle menti chiuse”.

“Bisogna essere consapevoli che non si può essere autonomi, indipendenti e imparziali se non si è anche competenti. La competenza consente al magistrato di resistere ai condizionamenti e alla tentazione di individuare il colpevole prima del giudizio, alla suggestione della giustizia senza processo. Battetevi con postura ferma con i provocatori di processi paralleli fuori dalle aule dei tribunali”, ha detto Pinelli rivolgendosi ai giovani magistrati.

Il vicepresidente del Csm ha poi richiamato la figura di Rosario Livatino, magistrato ucciso dalla Stidda il 21 settembre 1990: “Livatino si rende ben conto che il mito del giudice “bocca della legge” è un’illusione, tanto da affermare esplicitamente che “il ruolo del giudice non può sfuggire al cammino della storia: tanto egli che il servizio da lui reso devono essere partecipi di un processo di adeguamento”. Il magistrato non è dunque “un semplice riflesso della legge che è chiamato ad applicare” e, poiché la legge “troppo spesso, si attarda e si sclerotizza […]” il magistrato “può utilizzare quello fra i suoi significati che meglio si attaglia al momento contingente”. Tuttavia – ed è qui la novità e l’attualità del suo approccio – egli è altrettanto consapevole che il magistrato non può lasciarsi attrarre da chi lo vorrebbe di volta in volta garante degli “interessi forti” o degli “interessi deboli”; da chi vorrebbe che la magistratura diventasse un soggetto attivo nella congiuntura economica, così da trasformare l’aula giudiziaria in un “luogo di necessario [… e] dovuto riequilibrio fra parte sociale forte e parte sociale debole”. Secondo Livatino le prospettazioni di chi vuole un giudice garante del sistema e degli interessi forti e quelle di chi lo vuole garante dei deboli, riequilibratore delle ingiustizie sociali, sono entrambe da rifiutare in quanto “il ruolo che vogliono prefigurare è tale che il magistrato, che dovrebbe assumerlo, non sarebbe più tale in quanto imprimerebbe a se stesso ed ai propri compiti dei caratteri e delle finalità totalmente estranei a quello che ancora oggi è il prototipo dell’interprete giudiziario”, quello cioè di una “figura super partes”".

Infine un richiamo alla responsabilità delle toghe: “La cultura della imparzialità, mai come oggi, deve dunque essere sempre più coltivata, aggiornata e custodita dalla giovane magistratura che voi rappresentate e, per poterlo fare, occorre sempre più che il magistrato debba sentirsi responsabile non meno di quanto sia indipendente – o, meglio, dovrebbe sentirsi tanto più responsabile, quanto più è indipendente – perché, come è stato detto con una felice formulazione proprio da un magistrato (Enrico Scoditti), non si può proporre l’indipendenza senza la responsabilità, giacché è questa la nozione in grado di porre il limite alla appropriazione soggettiva della funzione di magistrato”, ha concluso Pinelli.

Di più su questi argomenti: