
pazza inchiesta
Chiamparino, Appendino e Fassino prosciolti nel processo sullo smog a Torino
Proscioglimento definitivo per tutti gli imputati accusati dalla procura di Torino di inquinamento ambientale colposo. Scontro tra la procuratrice generale Musti e la procura torinese
Si è chiuso con il proscioglimento definitivo di tutti gli imputati il pazzo processo per lo smog a Torino contro l’ex governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, gli ex sindaci Chiara Appendino e Piero Fassino, e gli assessori che hanno gestito la delega all’ambiente tra il 2015 e il 2019 (Alberto Unia, Stefania Giannuzzi, Enzo Lavolta e Alberto Valmaggia). Tutti accusati di inquinamento ambientale colposo per non aver adottato, secondo la procura di Torino, misure adeguate per ridurre il livello di sostanze nocive nell’aria, contribuendo così a causare la morte di almeno 900 persone. Già lo scorso luglio gli imputati erano stati tutti prosciolti dal tribunale in udienza predibattimentale, quindi senza neanche arrivare a processo. La procura torinese aveva però impugnato la decisione, con un lungo atto firmato dall’allora procuratrice reggente Enrica Gabetta (prima dell’arrivo del nuovo capo, Giovanni Bombardieri), insieme al procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo e al sostituto Gianfranco Colace. Di fronte alla Corte d’appello di Torino è giunto l’ennesimo colpo di scena: la procuratrice generale di Torino, Lucia Musti, si è presentata personalmente in udienza e ha comunicato la rinuncia al ricorso in appello.
Musti ha affermato di condividere le conclusioni a cui era giunto il gup con la sentenza di non luogo a procedere predibattimentale perché il fatto non sussiste, spiegando che “appare opportuno operare una doverosa, quanto equa prognosi di non accoglimento dell’appello sotto il profilo della ragionevole presunzione di non condanna”. Tradotto: il processo sarebbe con molta probabilità destinato a crollare anche in appello, quindi non c’è ragione di portare avanti il ricorso. A quel punto la Corte d’appello non ha potuto fare altro che dichiarare inammissibile il ricorso che era stato presentato dalla procura, rendendo definitivo il proscioglimento per tutti e sette gli imputati.
Lo schiaffone lanciato dalla procuratrice generale Musti nei confronti della procura torinese non è passato inosservato. Fonti autorevoli del palazzo di giustizia di Torino riferiscono una forte irritazione di Musti di fronte all’ondata di flop giudiziari accumulati negli ultimi mesi dalla procura, specialmente dal pm Gianfranco Colace. Dopo Bigliettopoli (imputati assolti) e Concorsopoli (imputati prosciolti), il magistrato ha visto recentemente crollare anche il processo Sanitopoli, con i quattro imputati principali assolti dai gravi reati di corruzione e turbativa d’asta, e una condanna per un reato minore. Lo scorso marzo Colace è stato sanzionato dal Csm con il trasferimento di sede e di funzioni, e con la perdita di un anno di anzianità (sanzione non ancora esecutiva) per aver intercettato illegalmente 500 volte il senatore Stefano Esposito, senza l’autorizzazione del Parlamento, come previsto dalla Costituzione.
Lo schiaffone di Musti sembra mettere in guardia la procura dal portare avanti, attraverso ricorsi pretestuosi, processi già bocciati in primo grado e destinati alla stessa sorte in appello. Di certo le premesse per l’ennesimo fallimento dell’inchiesta sullo smog a Torino erano evidenti a tutti. La procura contestava agli amministratori della città di Torino e della regione Piemonte di non essersi attivati abbastanza per combattere le concentrazioni di sostanze nocive nell’atmosfera. In particolare, avrebbero fatto affidamento a un meccanismo “inefficace” come quello del “semaforo” (che prevede divieti di circolazione alle auto in determinati giorni e fasce orarie in seguito al superamento dei limiti di Pm10), avrebbero definito un’area Ztl di dimensioni non adeguate, così come non avrebbero promosso un sistema efficace di incentivi in favore del trasporto pubblico e del bike sharing.
Era chiaro che ci si trovava di fronte a un’inchiesta più politica che giudiziaria, in cui la magistratura si spinge a valutare l’“adeguatezza” e l’“efficacia” di scelte adottate dagli amministratori nella loro legittima discrezionalità politica, in totale assenza di criteri scientifici che possano consentire di rintracciare nessi causali: quando l’inquinamento sarebbe da attribuire alle cattive decisioni della politica e quando invece alla particolare posizione geografica della città di Torino, notoriamente sfavorevole alla dispersione delle sostanze inquinanti? Una domanda a cui è impossibile fornire risposta, come hanno riconosciuto alla fine anche i giudici.