l'intervista

"Su Salis l'Italia non può dare lezioni all'Ungheria", dice il segretario del Partito radicale

Ermes Antonucci

Maurizio Turco: "Considerate le condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo contro il nostro paese sul trattamento degli imputati e sulle condizioni delle carceri, c’è poco da fare i maestrini nei confronti dell’Ungheria"

“Il caso Salis? Considerate le condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’Italia c’è poco da fare i maestrini nei confronti dell’Ungheria, sia per quanto riguarda l’esibizione degli imputati in tribunale, sia sul trattamento in carcere”. Lo dichiara al Foglio Maurizio Turco, segretario del Partito radicale. “Ovviamente non posso che unirmi alla condanna unanime del modo con cui Ilaria Salis è stata esibita al tribunale di Budapest, con le manette e la catena alla cintura – dice Turco –. Ma i detenuti italiani potrebbero raccontarne tante, per esempio su come vengono tenuti nei gabbiotti nei tribunali o su come avvengono le traduzioni da un carcere all’altro: con furgoncini dove all’interno ci sono delle gabbie in cui i detenuti vengono tenuti in manette per ore di viaggio”.

 

“E’ peraltro noto che in Ungheria il detenuto viene solitamente portato in aula in quelle condizioni, tant’è che questo trattamento è stato già segnalato dal Comitato prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa”, aggiunge. “Il problema – spiega Turco – è che noi come stato non siamo in grado di andare alla Cedu a condannare questo trattamento, perché ci verrebbe rinfacciato il trattamento che noi stessi riserviamo a chi è recluso”. 

 

Anche per quanto riguarda le condizioni delle carceri, purtroppo, l’Italia non è nella posizione di dare lezioni. Come evidenziato ieri su queste pagine, le condanne della Cedu e le statistiche del Consiglio d’Europa dimostrano come le carceri italiane siano più incivili di quelle ungheresi in termini di sovraffollamento, tasso di suicidi e condizioni di detenzione. “Tra il sistema penitenziario italiano e quello ungherese ci sono poche differenze, le definirei inezie”, dice Turco. “Non a caso entrambi i sistemi sono stati condannati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ciò che contestiamo all’Ungheria sulle carceri, quindi, è ciò che la Cedu contesta anche a noi”. 

 

Cosa diversa, invece, spiega il segretario del Partito radicale, è il processo a carico di Salis, accusata di aver aggredito due militanti di destra. “Messa da parte la giusta condanna dell’esibizione di Salis in tribunale, dal punto di vista processuale abbiamo qualcosa da contestare all’Ungheria? Non mi sembra”, dice Turco. “Lei si è proclamata innocente, ma nessuno conosce le carte dell’inchiesta, salvo forse il suo avvocato difensore”, prosegue. “Il governo ora viene criticato per non aver raggiunto l’obiettivo. Ma l’obiettivo quale dovrebbe essere? Lo stato italiano dovrebbe semplicemente chiedere che sul piano processuale vengano rispettate le regole dello stato di diritto”. Che poi, a dirla tutta, “anche sul funzionamento della giustizia abbiamo ben poco di cui vantarci rispetto all’Ungheria. Il caso di Beniamino Zuncheddu ce lo dimostra: 32 anni in carcere da innocente. Se avessimo avuto la pena di morte ora lui non sarebbe qui”, afferma Turco. 

 

Intanto, dopo aver ignorato per anni la situazione delle carceri italiane, una nutrita delegazione di rappresentanti dei partiti di opposizione si è recata giovedì al tribunale di Budapest per esprimere vicinanza a Salis. Non solo, la segretaria del Pd Elly Schlein starebbe valutando l’idea di candidare Salis alle elezioni europee, un po’ come fecero proprio i radicali con Enzo Tortora. “Sono situazioni imparagonabili. Comunque il Pd facesse quello che vuole. Ma nel caso in cui Salis venisse eletta, come farebbe a raggiungere Bruxelles? Si rischia di indurire ancora di più la posizione del governo ungherese”, dice Turco. Che poi lancia una provocazione a Schlein, che in passato ha ricordato la figura di suo nonno materno (Agostino Viviani, senatore per il Partito socialista negli anni settanta): “Il nonno di Schlein fu il primo parlamentare italiano a depositare una proposta di legge per la responsabilità civile dei magistrati e il Partito socialista non lo candidò più. Se lei vuole portare avanti le battaglie di suo nonno noi ci siamo”, conclude il segretario del Partito radicale.

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]