L'iniziativa

L'invadenza dei magistrati: in mille scrivono a governo e Parlamento contro la separazione delle carriere

Ermes Antonucci

1.028 toghe in servizio hanno firmato una petizione contro la separazione delle carriere in magistratura, inviandola alle massime istituzioni del paese: "Il pm finirebbe sotto il controllo dell'esecutivo". La lezione (dimenticata) di Giovanni Falcone

La separazione delle carriere nella magistratura è sparita per il momento dall’agenda politica (rinviata a dopo la grande riforma costituzionale sulla forma di governo), ma il solo pensiero è sufficiente a spingere le toghe a non dormirci la notte. Così, oltre mille magistrati, per la precisione 1.028 (527 giudici civili e penali, 471 pubblici ministeri e 30 magistrati tirocinanti), hanno deciso di sottoscrivere una petizione contro la separazione delle carriere e di spedirla alla premier  Meloni, al ministro della Giustizia  Nordio, ai presidenti delle commissioni Giustizia e ai presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato. Un intervento a gamba tesa nella politica, alla faccia della separazione dei poteri.

 

Nella petizione i magistrati esprimono “la più viva preoccupazione” per la possibile separazione delle carriere, “una riforma che non porterebbe alcun beneficio sul piano della rapidità ed efficacia del sistema penale e della risposta alle aspettative di ciascuno per una giustizia giusta, imparziale ed equanime”. L’accusa mossa alla maggioranza di centrodestra è sempre la stessa: la riforma, attaccano le toghe, “comporta i rischi concreti (che sembrano anzi esserne il vero ‘motore’) verso una dipendenza gerarchica del pubblico ministero dal governo e un controllo da parte della maggioranza politica sull’esercizio della azione penale e sulla conduzione delle indagini”.

 

Insomma, il vero intento del governo sarebbe quello di sottomettere il pm all’esecutivo, scenario in verità escluso categoricamente e ripetutamente dallo stesso Guardasigilli Nordio. L’ultima volta è avvenuto lo scorso 30 settembre, al congresso nazionale della corrente dei magistrati Area: “Ho fatto il magistrato e lo rifarei, e mi sento con la toga addosso – disse Nordio – Perciò mi preme dire che, quali che siano le riforme, per me sarebbe un’eresia pensare che la magistratura possa finire sotto il controllo dell’esecutivo”.

 

Le rassicurazioni di Nordio, però, evidentemente non sembrano tranquillizzare i magistrati, che nella petizione si spingono anche a considerazioni comparative: “Nella quasi totalità dei paesi dove vi è la separazione delle carriere vi è anche la dipendenza dei pm dal governo”. La riflessione delle toghe su quanto avviene sul piano internazionale dimentica un piccolo dettaglio: in un nessun altro paese occidentale sarebbe immaginabile che mille magistrati in servizio prendano posizione contro una riforma discussa dalla politica, inviando una petizione alle massime istituzioni del paese. Ma tant’è. 

 

Tra i firmatari della petizione spiccano i nomi dei procuratori Nicola Gratteri (da pochi giorni insediatosi a Napoli), Nunzio Fragliasso (Torre Annunziata), Pino Montanaro (Taranto), degli aggiunti Giuseppe Cascini (Roma) e Tiziana Siciliano (Milano), e di Piergiorgio Morosini, presidente del tribunale di Palermo.

 

La petizione dei magistrati in servizio si aggiunge a una lettera sottoscritta da 576 magistrati in pensione, destinata al ministro Carlo Nordio, e anch’essa contraria alla separazione carriere tra pm e giudici. Dall’ex pm di Mani pulite Piercamillo Davigo all’ex procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, passando per Gherardo Colombo, Giuliano Turone, Francesco Greco, Nello Rossi e gli ex procuratori torinesi Marcello Maddalena e Armando Spataro, le toghe in pensione si scagliano contro una riforma che ancora non esiste, ma che “stravolgerebbe l’attuale architettura costituzionale”.

 

A proposito del rischio di una sottoposizione del pm al potere esecutivo, dato per scontato dai magistrati riottosi, appare utile ricordare alcune considerazioni avanzate nel 1991 da Giovanni Falcone: “Un sistema accusatorio – spiegava il magistrato antimafia – parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice”. 

 

Contraddice tutto ciò – aggiungeva Falcone – il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, desideroso di porre il pm sotto il controllo dell’esecutivo”. “E' veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del pm con questioni istituzionali totalmente distinte”, concludeva Falcone, quasi profetico se si guarda alle accuse mosse oggi dalla magistratura al governo.