Giuseppe Valerio Fioravanti (Ansa) 

contraddizioni

Non proprio fascisti. Gli innocentisti su Bologna

Annarita Digiorgio

Iniziarono i Radicali, assieme al comitato “E se fossero innocenti?”. Da Zavoli all’ex brigatista Brachetti, da Minoli ai dubbi di metodo processuale espressi da Paolo Mieli. Massimo Bordin: “La giustizia a un certo punto deve lasciare il campo alla storia, invece che all’archeologia giudiziaria”

A differenza di altre vicende giudiziarie di cui sui libri, nei giornali dell’epoca, nelle teche Rai, si trova testimonianza di appelli e campagne per la revisione, o la grazia, sulla strage di Bologna l’unico vero archivio non colpevolista è quello di Radio Radicale. Così, a ogni anniversario, sembra di dover ricominciare da capo. Il comitato “E se fossero innocenti?” nacque a margine della sentenza del 1994 sulla strage e su iniziativa di Mimmo Pinto, leader dei “disoccupati organizzati” napoletani e dirigente e parlamentare di Lotta continua. Fu lui a organizzare il comitato che chiedeva la revisione del processo, e a raccogliere intorno a questa iniziativa soprattutto personalità della sinistra. Ma anche preti e suore, come piaceva a Pannella nella sua convinzione di unire, intorno alla battaglia della giustizia, cattolici, laici e comunisti.

E infatti una delle prime lettere a Mambro e Fioravanti arrivò dal Papa: “Prego per voi e vi auguro ogni bene”. Del resto, come disse Massimo Bordin qualche anno dopo, intervistando Fioravanti, “c’è un adagio che alcuni legulei ripropongono sempre che dice che le sentenze non si discutono. Eppure c’è una ditta che campa da duemila anni su una discussa sentenza di crocifissione. Le sentenze si discutono, e si applicano. Ma restano discutibili soprattutto quando sono contraddittorie”.

Intorno alla contraddittorietà di quella sentenza Mimmo Pinto riunì un comitato con Carla Rocchi, senatrice dei Verdi, e Mauro Palma, che aveva da poco fondato l’associazione Antigone, e fino a qualche mese fa è stato garante nazionale dei diritti dei detenuti; poi il filosofo Sergio Quinzio, Gianfranco Funari, la ex brigatista rossa Annalaura Braghetti, Andrea De Simoni, Giovanni Minoli, Francesca Scopelliti compagna di Enzo Tortora, Sergio Zavoli. All’epoca i radicali mettevano a disposizione la radio per raccoglier interviste pro e contro intorno a una iniziativa, aprendo il dibattito, e i microfoni. Il comitato pensò di chiedere ai presidenti di regione di aderire. Il primo fu Pietro Badaloni, presidente della regione Lazio, di centrosinistra. Che si recò dall’allora presidente della Commissione stragi Giovanni Pellegrino per presentargli la mozione con la richiesta di revisione che il consiglio regionale del Lazio aveva votato all’unanimità. Qualche mese fa Badaloni è stato presidente del comitato elettorale per la candidatura alla presidenza della Regione Lazio del candidato del Pd Alessio D’amato, che oggi chiede le dimissioni di Marcello De Angelis. Franca Chiaromonte invece, deputata ds, professava l’innocenza di Francesca Mambro, ma nessuno le ha mai chiesto di dimettersi.

Il comitato pubblicò un libro presentato il 20 settembre 1995 alla Festa dell’Unità di Roma con Sergio D’Elia, Alberto Leiss, Adolfo Urso. Poi fu proprio il direttore dell’Unità Furio Colombo a schierarsi personalmente (non a nome del giornale) per la concessione della legge Gozzini a Francesca Mambro. Infatti Mambro e Fioravanti sono stati condannati e hanno scontato tutta la pena, finita di espiare dopo l’inserimento lavorativo presso l’associazione radicale Nessuno Tocchi Caino.

Prima della scomparsa Massimo Bordin ne ebbe a discutere in un carteggio con l’allora direttore del Tempo, e oggi del Tg1, Gianmarco Chiocci, che portava avanti la pista palestinese diffusa da Cossiga. Bordin non era convinto del complotto, e gli rispose: “La giustizia non sempre arriva fino in fondo, né qui né altrove, ma a un certo punto deve lasciare il campo alla storia, invece che all’archeologia giudiziaria. C’è ancora dell’altro, ma basta questo per rendere l’ipotesi palestinese fragile almeno quanto quella che ha portato alla condanna di Mambro e Fioravanti”.

Nel 2007 Andrea Colombo, già portavoce di Rifondazione Comunista, scrisse il libro “Storia Nera. La verità di Mambro e Fioravanti”. La presentazione fu organizzata dal Corriere della Sera, e intervenne l’allora direttore Paolo Mieli: “Fra qualche decennio quando gli storici analizzeranno queste vicende si stupiranno dell’illogicità assoluta dell’impianto accusatorio… il modo di procedere giudiziario è stato totalmente capovolto.. era chiesto agli imputati di discolparsi, portando elementi ridicoli di colpevolizzazione.. Un caso mostruoso… Io non lo so se Mambro e Fioravanti potrebbero essere anche colpevoli – disse Mieli – ma sulla base di come sono stati giudicati questi processi sono figli di un condizionamento culturale dell’epoca in cui si sono svolti, e basta… Ma la protervia con la quale coloro che sostengo la tesi della colpevolezza di Mambro e Fioravanti contro libri come questo non ha eguali”.

Parole che il direttore del Corriere della Sera pronunciava nel 2007, come fossero di oggi: “Anziché proporre argomenti accusano gli altri di essere dei poco di buono aldilà della biografia delle persone. Un giorno quando rianalizzeremo questi fatti aldilà delle bizzarrie dell’inchiesta diremo che ci furono degli episodi di civiltà. Per Sofri è un dubbio sacrosanto ma accettato, per le stragi nere è un dubbio non accettato, che è più prudente non esibire. E c’è sempre qualcosa di maligno e di insinuante nel trattare persone che questi dubbi hanno manifestato. Ma se questo può giovare loro, io lo garantisco da storico, dopo la loro morte questi dubbi acquisiranno rilievo. E i dubbi saranno portati come esempio che non tutti nell’epoca in cui i fatti accaddero furono così stolti o intellettualmente disonesti o sciatti, da prendere per oro colato le verità rivelate e adeguarsi”. Quanti altri decenni dovranno passare?

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