interrogativi

Segreti, politica e giustizia: gli strani casi dell'avv. Delmastro e del pm Storari

Luciano Capone

I casi paralleli del sottosegretario di Fratelli d'Italia e del pm. La legge ammette ignoranza solo per i magistrati?

Le premesse da fare sono due. La prima è che non bisogna confondere il piano penale con quello politico. E quindi le opposizioni hanno la piena legittimità e buone ragioni per chiedere le dimissioni di Andrea Delmastro e abbandonare l’Aula quando c’è il sottosegretario alla Giustizia protagonista delle gravi accuse al Pd sul caso Cospito attraverso il suo coinquilino Donzelli. La seconda premessa è che ogni processo ha vita autonoma e pertanto i confronti vanno fatti sempre cum grano salis. Ma al di là delle ricadute politiche, sarà interessante guardare come si esprimeranno i giudici sul caso del sottosegretario di Giorgia Meloni facendo un confronto con il caso che ha riguardato il pm milanese Paolo Storari.

 

Il Corriere della Sera, infatti, ha riportato le motivazioni con cui il gip di Roma ha disposto l’imputazione coatta di Delmastro per violazione del segreto: la rivelazione al collega di partito Donzelli dei colloqui al 41-bis dell’anarchico Cospito, nel suo caso, essendo un avvocato e quindi conoscitore delle norme penali, non può essere ritenuto “un errore scusabile”. È una conclusione opposta a quella della procura di Roma che aveva chiesto l’archiviazione perché la violazione del segreto amministrativo da parte di Delmastro “era fondata sull’assenza dell’elemento soggettivo del reato, determinata da errore su legge extrapenale”. L’opinione del Gip è opposta: “Un eventuale errore nella sua interpretazione della norma extrapenale, presupposto necessario a determinare l’esclusione della punibilità, deve essere originato da un errore scusabile”. Ma non può essere questo il caso, dato che Delmastro “è un legale, specializzato in diritto penale, nonché sottosegretario”. L’errore, insomma, è inescusabile.

 

La vicenda richiama, per molte similitudini, il caso Davigo-Storari, la divulgazione da parte del pm della procura di Milano all’ex consigliere del Csm dei verbali di Amara sulla fantomatica “loggia Ungheria”. In entrambi i casi la rivelazione del segreto è avvenuta in un incontro privato tra le mura domestiche, il tinello di casa Delmastro-Donzelli nel primo caso e il salotto di casa Davigo nel secondo, e in entrambi i casi gli atti coperti da segreto sono diventati di dominio pubblico, nel primo caso spifferati da Davigo a membri del Csm e poi finiti ai giornali e nel secondo spiattellati da Donzelli in Parlamento.

 

Nella vicenda Storari-Davigo, però, ci sono già le sentenze. Tralasciando la condanna in primo grado di Davigo che non è definitiva, per Storari – che ha un ruolo analogo a quello di Delmastro – il processo a Brescia si è concluso definitivamente con un’assoluzione in primo e secondo grado. E cosa dicono le motivazioni? Che Storari è stato assolto in quanto incorso in un “errore scusabile” sulla “interpretazione di una norma extrapenale”. La stessa giustificazione invocata dalla procura di Roma per Delmastro. Sebbene per la rivelazione del segreto basti il dolo generico, manca l’elemento soggettivo del reato. Confidandosi con Davigo e passandogli gli atti su una pen drive, Storari ha fatto una cosa che non si deve fare pensando che si potesse fare e né poteva pensare che poi Davigo, a sua volta, avrebbe fatto un uso illecito dei verbali.

 

Nel caso di Storari, però, secondo i giudici l’errore è scusabile nonostante egli sia un un pm preparato, che quotidianamente ha a che fare con le indagini penali e che meglio di tutti dovrebbe conoscere come si custodiscono gli atti coperti da segreto e secondo quale procedura dovrebbero essere trasmessi al Csm. Non è valso per lui il ragionamento applicato dal gip di Roma a Delmastro, secondo cui l’errore commesso da un operatore del diritto è inescusabile. Sarebbe però un bel paradosso se alla fine dei due processi, incrociando le sentenze, venisse fuori che il brocardo “la legge non ammette ignoranza” vale per tutti, anche per i politici. Tranne che per i magistrati.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali