Appunti

Sulle intercettazioni la riforma Nordio non basta, come insegna il caso Consip

Luciano Capone

Altro che "bavaglio". Il processo Consip mostra che la prassi della gogna se ne infischia delle leggi, finché la sanzione è un'ammenda da pochi euro. Ora si allunga solo l'elenco delle intercettazioni che verranno pubblicate anche se non si può

La categoria dei giornalisti denuncia già la “stretta” e il “bavaglio”, anche se dal confronto internazionale sul tema la stampa italiana è la meno imbavagliata. La realtà è che la riforma del ministro della Giustizia Carlo Nordio sulla pubblicazione delle intercettazioni rischia di rivelarsi una grida manzoniana, che alla fine non cambierà la sostanza. Nel decreto presentato dal Guardasigilli viene ampliato il divieto di pubblicazione degli atti. Se secondo la normativa attuale è pubblicabile tutto ciò che è noto alle parti, e che quindi è stato messo a disposizione degli indagati e dei loro avvocati, con la nuova norma diventano divulgabili solo gli atti e le intercettazioni che un giudice ha riprodotto nelle motivazioni di un provvedimento o che sono stati utilizzati durante il dibattimento. Si estendono poi le garanzie per i terzi, ovvero per le persone diverse dalle parti del processo che magari vengono citate in qualche conversazione irrilevante ai fini dell’indagine.

 

Si tratta di norme di civiltà, che servono a salvaguardare dai processi mediatici e sommari sia le persone indagate sia quelle che non c’entrano nulla con l’indagine. Probabilmente non dovrebbe servire neppure una legge del genere, ma siamo pur sempre nel paese che ritiene sia “giornalismo investigativo” lo sputtanamento attraverso la diffusione di conversazioni private o irrilevanti dal punto di vista penale fatte filtrare dai palazzi di giustizia. La riforma di Nordio, che limita la pubblicazione alle sole intercettazioni più rilevanti citate nei provvedimenti dei giudici, punta a limitare la pratica di alcune procure di imbottitura degli atti con intercettazioni del tutto irrilevanti penalmente ma rilevantissime per il gossip o la battaglia politica, diventando così atti divulgabili per l’immediato processo mediatico. Ma il punto è: cosa garantisce che la nuova norma sia efficace per ciò che si propone?

 

Un caso di attualità lo fa dubitare. Pochi giorni fa, la corte di Appello di Roma ha assolto il generale Tullio Del Sette dall’accusa di favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio in uno dei filoni dell’inchiesta Consip “perché il fatto non sussiste”. Si tratta dell’inchiesta che vede coinvolto anche Tiziano Renzi, padre dell’allora presidente del Consiglio. In sostanza, l’ex comandante generale dell’Arma dei Carabinieri era accusato di aver avvisato l’allora presidente di Consip, Luigi Ferrara, circa la possibilità che l’imprenditore Alfredo Romeo, interessato all’aggiudicazione di un’importante gara indetta proprio da Consip, potesse essere coinvolto in una attività investigativa. Ferrara a sua volta avrebbe avvertito l’ad di Consip, Luigi Marroni, di essere intercettato. La fuga di notizie avrebbe compromesso l’inchiesta sugli appalti.

 

Ma la cosa paradossale è che l’inchiesta Consip, avviata inizialmente dal pm di Napoli Henry John Woodcock, si è rivelata una continua fuga di notizie. Tanto che la procura di Roma, all’epoca guidata da Giuseppe Pignatone, ha dovuto aprire una serie di inchieste sulle ripetute fughe di notizie prodotte proprio da chi conduceva le indagini. L’iscrizione nel registro degli indagati, ad esempio, il generale Del Sette l’ha appresa dai giornali. E come lui altri indagati.

 

Ma che gli avvisi di garanzia vengano recapitati a mezzo stampa è quasi una prassi. Il problema è che in questa inchiesta abbiamo visto di tutto e di più. Sul Fatto quotidiano, ad esempio, è stata pubblicata un’intercettazione dai toni molto forti tra padre e figlio (Tiziano e Matteo Renzi) penalmente irrilevante e neppure depositata agli atti, ma in possesso solo della procura e della polizia giudiziaria. Peggio ancora: lo stesso quotidiano pubblicò un’intercettazione tra Tiziano Renzi e il suo avvocato, anche in quel caso in maniera del tutto illegale e con una violazione del diritto di difesa e dell’inviolabilità delle comunicazioni tra avvocato e assistito.

 

La fuga di notizia è naturalmente un reato, di quelli che raramente vengono perseguiti e di cui quasi mai vengono individuati i responsabili. Ma in ogni caso, per chi divulga gli atti coperti da segreto (il “ricettatore”) le conseguenze praticamente non esistono, visto che l’eventuale pena si risolve in un’ammenda da poche centinaia di euro. Questo è, in ultima istanza, il “bavaglio”. Se non si modificano le sanzioni (non necessariamente penali), visto che non esiste alcuna autodisciplina, la riforma di Nordio rischia solo di allungare l’elenco di atti e intercettazioni che in teoria non si possono pubblicare. Ma che in pratica verranno pubblicati lo stesso.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali