record giudiziari

Un ex dirigente comunale assolto tre volte in cinque mesi dall'accusa di abuso d'ufficio

Ermes Antonucci

La singolare vicenda di Pasquale Suma conferma l'evanescenza del reato di abuso d'ufficio e impone una riflessione al Csm

Nel giro di cinque mesi è stato assolto tre volte, in tre processi diversi. Le accuse? Sempre le stesse: abuso d’ufficio e falso. Il pubblico ministero? Anche lui sempre lo stesso. Protagonista della vicenda – emblematica dei guai giudiziari che ogni giorno gli amministratori locali si trovano ad affrontare – è l’ingegnere Pasquale Suma, ex dirigente (ora in pensione) del comune di Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi. Lo scorso 10 gennaio il tribunale di Brindisi lo ha assolto, con la formula piena “perché il fatto non sussiste”, dall’accusa di abuso d’ufficio aggravato. Suma (difeso dall’avvocato Aldo Gianfreda) era accusato di aver illecitamente rilasciato un permesso di costruire con cambio di destinazione d’uso di un immobile artigianale di proprietà di un’azienda locale, procurando un danno patrimoniale al comune quantificato in circa 45 mila euro. Per queste accuse Suma trascorse un mese agli arresti domiciliari. Al termine del processo il pm di Brindisi, Raffaele Casto, aveva chiesto una condanna a tre anni e nove mesi di reclusione, ma l’intero impianto accusatorio è stato spazzato via dai giudici. 

 

La seconda assoluzione per Suma è arrivata lo scorso 31 marzo. In questo caso il dirigente comunale era stato chiamato a rispondere del reato di falso in concorso per presunte irregolarità commesse nell’ampliamento di un trullo. Il pm, sempre lo stesso (Raffaele Casto), ha chiesto per Suma una condanna a otto mesi di reclusione, ma anche stavolta l’accusa è caduta in giudizio (assoluzione piena “perché il fatto non sussiste”). 

 

Pochi giorni fa, il 6 giugno, Suma è stato assolto per la terza volta, stavolta di nuovo dall’accusa di abuso d’ufficio, in relazione alla realizzazione di una stradina nell’area di pertinenza di una masseria a San Michele Salentino. Per questa contestazione, il pubblico ministero – sempre Raffaele Casto – aveva chiesto per Suma la condanna a un anno e dieci mesi di reclusione.

 

La singolare vicenda di Suma giunge a pochissimi giorni dalla presentazione in Consiglio dei ministri, da parte del Guardasigilli Carlo Nordio, del primo pacchetto di riforme della giustizia. Uno degli interventi più attesi è quello sull’abuso d’ufficio, reato che, come è emerso chiaramente anche nel caso di Pasquale Suma, continua a generare indagini e processi che puntualmente finiscono in un nulla di fatto, dopo anni di spese per la macchina giudiziaria e di danni alla reputazione delle persone coinvolte. Il ministro Nordio sembra orientato a presentare una proposta di modifica del reato di abuso d’ufficio, e non di abolizione, che per molti sarebbe contraria agli obblighi internazionali del nostro paese. Di certo il caso Suma è l’ennesima prova dell’urgente necessità di intervenire su una delle fattispecie di reato più evanescenti del codice penale. 

 

La vicenda qui raccontata impone anche alcune riflessioni sullo stretto rapporto che in alcuni piccoli comuni può venire a emergere tra magistrati e cittadini. In altre parole, è normale che l’ingegner Suma sia stato oggetto di tre procedimenti penali aperti in tre momenti diversi dallo stesso pubblico ministero? E’ normale che questo pubblico ministero, dopo aver chiesto e ottenuto l’arresto di Suma (poi annullato dal tribunale del Riesame), abbia continuato ad aprire indagini sullo stesso cittadino? Non era forse il caso che la procura di Brindisi affidasse i successivi procedimenti riguardanti Suma a un diverso pubblico ministero? Non sarebbe certamente fuori luogo se a porsi queste domande fosse anche il Consiglio superiore della magistratura.

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