Mauro Moretti, ex ad di Ferrovie dello stato (foto Ansa)

La strage di Viareggio, Moretti e quel bisogno di capri espiatori. Parla Manes

Ermes Antonucci

Intervista al giurista Vittorio Manes, dopo la sentenza di condanna dell'ex ad di Ferrovie per la strage di Viareggio: "Il bisogno emotivo di individuare colpevoli segue spesso la logica del capro espiatorio"

Mauro Moretti, ex amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana e poi di Ferrovie dello stato, è stato di nuovo condannato per la strage di Viareggio (cinque anni di reclusione). L’unica sua colpa sembra quella di essersi trovato al vertice dell’azienda nel momento del disastro, secondo una assurda logica di responsabilità oggettiva. La stessa che in un altro caso celebre, quello del crollo del ponte Morandi, vede ora alla sbarra l’ex ad di Autostrade, Giovanni Castellucci. Una domanda sorge spontanea: possibile che in questo paese un ad debba rispondere penalmente di ogni cosa, persino di un assile difettoso montato sotto a un carro cisterna di responsabilità di un’impresa tedesca? “Al di là delle singole vicende, nelle quali non voglio entrare perché non conosco le carte processuali, purtroppo non è affatto una novità”, risponde Vittorio Manes, professore ordinario di Diritto penale all’Università di Bologna. “Il bisogno emotivo di individuare colpevoli segue spesso la logica del ‘capro espiatorio’, e questa necessità sembra appagarsi solo quando si arriva a corresponsabilizzare uno o più soggetti apicali, individuando responsabilità più gravose, colpevoli più celebri, e così assicurando alla condanna una maggiore valenza esemplare e catartica”.

 

“Molti disastri – aggiunge il docente – spesso sono semplicemente frutto più di ‘miopie organizzative’ che di errori umani, e dovrebbero dunque risultare poco compatibili con un sistema di responsabilità, come quello penale, basato sui principi di personalità e colpevolezza. Ma nel processo si insinua la logica medievale della ‘responsabilità oggettiva’, in base alla quale per il solo trovarsi in una determinata posizione di vertice, si può essere chiamati a rispondere anche per il caso fortuito”.

 

Quanto pesa su questa tendenza il fenomeno del processo mediatico? “E’ difficile quantificarlo, ma è sempre più avvertito il rischio di condizionamento innescato dall’onda mediatica, perché questa crea un ‘orizzonte di attesa’ nella pubblica opinione e nella rappresentazione dei media che esercita un rischio di condizionamento anche solo subliminale su chi deve giudicare”, replica Manes, nelle librerie con il suo nuovo saggio intitolato “Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo” (Il Mulino). “Del resto – aggiunge – di fronte ad una aspettativa di condanna, e di condanna esemplare, il giudice si sente chiamato a dire da che parte sta: se sta dalla parte della pubblica opinione, o se sta dalla parte di un imputato che l’opinione pubblica considera già colpevole. In un simile contesto, per assolvere ci vuole molto coraggio. Si smarrisce il senso delle regole processuali, che vengono viste come ‘cavilli’ che non devono intralciare il corso della giustizia”.

 

Tutto ciò sembra avere effetti devastanti sul sistema giustizia. “L’effetto negativo più immediato è il rischio di contaminazione dell’imparzialità della giurisdizione. La bilancia della giustizia perde il suo equilibrio, e la dea sveste la benda che assicura assenza di pregiudizio, terzietà e, appunto, imparzialità”, afferma Manes. “Poi c’è un ulteriore effetto, persino più grave: quello di ridurre la sentenza che finalmente, spesso dopo molti anni, chiude il processo a una semplice ‘opinione’, messa quasi sullo stesso piano delle precedenti opinioni formatesi nelle sedi più informali, o magari nei talk show o nei salotti televisivi.

 

Tutto questo – conclude Manes – può corrodere alle fondamenta un valore primordiale in uno stato di diritto, ossia la fiducia dei cittadini nella giustizia istituzionale, specie quando un pre-convincimento circa la colpevolezza di determinati soggetti viene smentito da una sentenza di assoluzione. Quale delle due opinioni è credibile, quella propalata nel processo mediatico o quella contenuta nella sentenza dei giudici? Il pericolo è molto grave, specie perché la condanna mediatica, ai cittadini, appare più veloce, immediata e, visto che spesso risponde alle aspettative colpevoliste, più credibile. E questo corrode sempre più la fiducia nella giustizia istituzionale”.