editoriale

Strage di Viareggio, Moretti condannato a cinque anni: non la si chiami giustizia

Redazione

Cinque anni di reclusione per l'ex ad di Ferrovie per l'incidente del 2009 che costò la vita a 32 persone. Lo strano concetto di responsabilità oggettiva ha prevalso di nuovo, ma ha poco a che fare con le ragioni del diritto

Attorno alla tremenda strage di Viareggio del 29 giugno 2009 sembra di nuovo aver prevalso l’emozione sulle ragioni del diritto. Al termine del processo d’appello bis, la corte d’appello di Firenze ha condannato Mauro Moretti, ex amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana (dal 2001 al 2006) e poi di Ferrovie dello stato (dal 2006 al 2014), a cinque anni di reclusione, con l’accusa di disastro ferroviario colposo, incendio e lesioni colpose per l’incidente che costò la vita a 32 persone, a causa del deragliamento e l’esplosione di un treno che trasportava gpl.

 

Nel primo processo d’appello, Moretti era stato condannato a sette anni, in questo nuovo processo disposto dalla Cassazione la procura generale aveva chiesto una condanna a sei anni e nove mesi. Con Moretti sono stati condannati anche Michele Mario Elia, ex ad di Rfi, e Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia, entrambi a una pena di quattro anni, due mesi e venti giorni. In tutto tredici gli imputati condannati, tre gli assolti.

 

Non è stato sufficiente, per la difesa di Moretti, dimostrare l’assoluta assenza di prove circa l’esistenza di una presunta politica aziendale finalizzata al risparmio sulle norme di sicurezza, né evidenziare invece l’impegno profuso da Moretti nella modernizzazione degli standard di sicurezza. “La sicurezza ferroviaria è sempre stata per me una assoluta priorità”, aveva affermato Moretti prima della sentenza, intervenendo con dichiarazioni spontanee, sottolineando: “Le statistiche ufficiali mostrano che dal 2000 al 2009 gli incidenti ferroviari rilevanti crollarono da 96 a 13 all'anno”.

 

Ma i dati, i fatti sembrano non aver mai avuto un peso in questo processo, che fin dall’inizio è sembrato finalizzato a condannare una persona per il semplice ruolo di vertice ricoperto nell’azienda. Come se un ad dovesse essere chiamato a rispondere penalmente persino di un assile difettoso montato sotto a un carro cisterna di responsabilità di un’impresa tedesca. E’ accaduto. Lo strano concetto di responsabilità oggettiva ha prevalso di nuovo. Ma non la si chiami giustizia.