(foto Ansa)

Le sentenze del Tar sulle cure domiciliari e il rischio Stamina

Luca Simonetti

Abolire le linee guida darebbe la stura alle pseudocure più assurde. Per ora il Consiglio di stato ci ha messo una pezza

La sentenza n. 419/2022 del Tar del Lazio (già commentata sul Foglio da Luciano Capone e Giovanni Rodriquez) merita una riflessione, date le molte stranezze che contiene. La sostanza è semplice: un gruppo di medici prende di mira la nota dell’Aifa del 9.12.2020 con cui si espongono le linee-guida per la gestione domiciliare dei pazienti Covid-19. Dopo aver ottenuto una sospensiva dal Tar, i medici però perdono davanti al Consiglio di Stato (che revoca la sospensiva), dopodiché la causa di merito viene dichiarata improcedibile, perché nel frattempo il ministero della Salute ha emanato (il 26.4.2021) una circolare che riprende le linee-guida, in qualche modo così “superando”, secondo il Tar, l’originaria nota dell’Aifa.

Ma i medici non si arrendono e stavolta attaccano, davanti al Tar, direttamente la circolare del ministero, perché questa “anziché dare indicazioni valide sulle terapie da adottare a domicilio”, elencherebbe “le terapie da non adottare”, il che equivarrebbe a un “divieto” che “non corrisponde all’esperienza diretta maturata dai ricorrenti” e sarebbe pertanto lesivo della libertà di cura del medico. Sorprendentemente il Tar, discostandosi,come già rilevato da Capone e Rodriquez, dal precedente del Consiglio di Stato sulla nota Aifa, anziché osservare che la libertà di cura del medico non è affatto esclusa né dalle linee-guida Aifa né dalla circolare ministeriale, afferma invece che quest’ultima “contrasta, pertanto, con la richiesta professionalità del medico e con la sua deontologia professione, imponendo, anzi impedendo l’utilizzo di terapie da questi ultimi eventualmente ritenute idonee ed efficaci.” Così la conclusione del Tar è che “il contenuto della nota ministeriale, imponendo ai medici puntuali e vincolanti scelte terapeutiche, si pone in contrasto con l’attività professionale così come demandata al medico nei termini indicati dalla scienza e dalla deontologia professionale.” 

Quel che sorprende non è solo che il Tar qualifichi come imposizione tassativa di determinate cure, e contestuale divieto di ogni altra terapia, delle linee-guida che non impongono né vietano nulla, ma anche e soprattutto che citi a sostegno della propria conclusione alcuni passaggi della difesa dei ricorrenti (“le censurate linee guida, come peraltro ammesso dalla stessa resistente, costituiscono mere esimenti in caso di eventi sfavorevoli”) nonché della pronuncia del Consiglio di Stato (“il giudice di appello … ha precisato che ‘la nota Aifa non pregiudica l’autonomia dei medici nella prescrizione, in scienza e coscienza, della terapia ritenuta più opportuna, laddove la sua sospensione fino alla definizione del giudizio di merito determina al contrario il venir meno di linee guida, fondate su evidenze scientifiche documentate in giudizio, tali da fornire un ausilio ancorché non vincolante a tale spazio di autonomia prescrittiva, comunque garantito’”) che sostengono esattamente il contrario. E’ noto che le motivazioni contraddittorie sono motivo di impugnazione: una sentenza che concluda A dopo aver richiamato, a sostegno, argomenti in favore della tesi non-A, non è valida. La sentenza del Tar fa proprio questo  (“siccome è chiaro che la circolare rappresenta una mera esimente, che non è vincolante e che non pregiudica l’autonomia dei medici, essa impone ai medici puntuali e vincolanti scelte terapeutiche che limitano la loro autonomia”). Anzi, di rado è capitato di leggere in sentenza contraddizioni così marchiane. 
Ma qui c’è di più. Intanto, come ci mostrano i giudizi contrastanti nel precedente processo a proposito della nota Aifa, al riguardo è in corso un conflitto nella magistratura amministrativa tra il Tar romano e il Consiglio di Stato. Quale è la ragione? Cosa c’è in ballo? Naturalmente non lo sappiamo. Non vorremmo però, come scrivemmo un anno fa commentando la decisione sul caso idrossiclorochina, che  fosse il segno di una nuova stagione di interventismo dei giudici amministrativi nelle questioni tecnico-scientifiche, stagione che pareva (fortunatamente) chiusa anni fa. Qualche indizio c’è.

Come si sa fin dal caso Di Bella e poi dal caso Stamina, diverse  parti dell’opinione pubblica, della politica e dei media vedono con  favore la più ampia e deregolata “libertà di cura”, fino al punto di prescrivere le cure più strampalate e inverosimili, prive di qualunque serietà scientifica. Per ovviare a questo rischio, dappertutto, e specie nei paesi più avanzati, si è affermata da decenni l’idea che le cure e le terapie da prescrivere ai pazienti debbano essere le migliori disponibili di volta in volta secondo la scienza medica. E per non dover affrontare ogni volta l’arduo compito di stabilire quale sia lo stato dell’arte in merito a ogni cura, si è imposto il principio che l’organo tecnico-scientifico che fa da interfaccia fra lo stato e la comunità medica – da noi, l’Aifa e l’Iss –  debba emanare delle linee guida, cioè delle direttive di massima, su quali siano le best practice da seguire caso per caso. Non si tratta, beninteso, di obblighi. Il medico può benissimo, secondo la sua scienza e coscienza, decidere di seguire una strada diversa per un suo paziente (a condizione di averlo debitamente informato e avere acquisito il suo consenso); ma, nel caso che qualcosa vada storto, dovrà poi essere in grado di giustificare la sua scelta. Da quando esiste la Evidence-Based Medicine, non c’è altra strada. E infatti, dappertutto (e anche in Italia: vedi l’art. 590-sexies del codice penale) si è affermato il principio che il medico che segue le linee guida e le best practice  non risponde penalmente dei danni da imperizia causati al paziente.

L’impressione, rafforzata dal fatto che il profilo della responsabilità del medico è menzionato nella sentenza del Tar e sottolineato con favore in parecchi commenti, è che sia proprio quest’ultimo punto a spiegare la stranissima pronuncia in commento. Se si eliminano le linee guida, verrebbe meno la resistenza di molti medici a seguire qualunque terapia possa di volta in volta essere propagandata dalle case farmaceutiche e dai media: proprio come accadde con Di Bella e Stamina. Non ci sarebbe più bisogno di preoccuparsi dei noiosi controlli, dei lacci e lacciuoli imposti dalle autorità tecnico-scientifiche di vigilanza (come l’Ema nell’Ue e l’Aifa in Italia) sui farmaci e sulle cure: liberi tutti. Ma questo sarebbe uno scenario disastroso, e metterebbe la nostra salute – soprattutto dei più poveri e meno informati –in grave pericolo. Nessun sistema sanitario è irriformabile, naturalmente. Ma a decidere come riformarlo dovrebbe essere il legislatore, non un giudice. Per fortuna, sembra che a Palazzo Spada altri giudici la pensino diversamente: è di ieri la (ottima) notizia che il presidente  del Consiglio di Stato, Franco Frattini, ha sospeso  la sentenza del Tar, in attesa della  udienza del 3 febbraio in cui la causa verrà discussa nel merito (decreto cautelare n. 411 del 19.1.2022). Incrociamo le dita!

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