È da garantisti avere dubbi sui referendum sulla giustizia

Alfredo Mantovano 

In 4 anni e mezzo una foratura di ruote impegna dal primo grado alla Cassazione. Un caso singolo che fa scuola. 

Quanto segue è realmente accaduto in un ufficio giudiziario italiano, e ha trovato qualche giorno fa epilogo, al momento parziale, in Cassazione. Capodanno 2017. X buca le gomme all’automobile di Y e Y lo denuncia. Si avvia un procedimento penale per il reato di danneggiamento. Dopo appena 4 anni – la complessità del caso spiega la lunghezza dell’indagine – il processo perviene al gip e l’imputato chiede di patteggiare. Il pm esprime parere contrario dicendo che la Procura cui appartiene non lo ha autorizzato a pronunciarsi su istanze di patteggiamento: evoca cioè un dato organizzativo interno al proprio ufficio ma estraneo alla dinamica processuale. Ha il medesimo peso giuridico che se avesse detto “nego il consenso perché la mamma non mi ha dato la merenda”.

   

Il gip, che secondo il codice è obbligato a prendere atto del dissenso del pm e a mandare l’imputato al dibattimento, se ne impipa, scrive che la contrarietà del pm è radicalmente immotivata, pronuncia la sentenza di patteggiamento, e quindi trasforma quello che è fisiologicamente un accordo fra le parti in un atto unilaterale (la richiesta dell’imputato), che lui accoglie. La procura generale fa ricorso per cassazione e la cassazione annulla la sentenza, ritenendo che costituisca un atto abnorme; restituisce gli atti al tribunale di provenienza perché il giudizio, quando con calma sarà rifissato, riprenda daccapo. Non è un caso di mafia o di corruzione, ma ha il pregio di riassumere alcuni dei principali problemi della giustizia italiana.

  
In 4 anni e mezzo una foratura di ruote impegna dal primo grado alla Cassazione, e non è ancora finita: sarà interessante vedere alla fine quanti magistrati se ne saranno occupati. Gli emendamenti Cartabia alla riforma Bonafede ribadiscono i termini di durata delle indagini, che esistevano già il giorno in cui quelle gomme erano state bucate, e che nel caso specifico avrebbero dovuto chiudersi 6 mesi dopo l’avvio del procedimento: quali risultati conseguirà il mantenimento degli stessi termini?

    
Non poche condotte illecite non esigono la sanzione penale: ledere le gomme altrui è diverso dal ledere l’integrità personale; comportamenti come il primo potrebbero essere più efficacemente puniti con una sanzione amministrativa o con la condanna in un giudizio civile. Ma questo non avviene a costo zero: l’alternativa del giudizio civile è praticabile se la sentenza arriva non alla generazione successiva. Idem per la sanzione amministrativa, per la quale non può andare come per gli assegni a vuoto, i cui fascicoli riempiono gli scaffali delle prefetture da quando a suo tempo quel reato fu depenalizzato. Ipotesi di depenalizzazione, e di parallelo potenziamento delle prefetture e della giurisdizione civile sono tuttavia estranee alla riforma Bonafede-Cartabia.

    
Un pm che si presenti in udienza e rifiuti di svolgere la sua funzione (questo è accaduto nel nostro caso) andrebbe censurato disciplinarmente, unitamente al Procuratore che (non) lo ha delegato. Un gip la cui sentenza venga qualificata “abnorme”, cioè letteralmente “fuori dalla norma”, pure. Gli emendamenti Cartabia non trattano il versante disciplinare; confidiamo nei referendum?

     
In effetti uno dei referendum per i quali è in corso la raccolta delle firme prevede la responsabilità diretta del magistrato che sbagli, ma si tratta di responsabilità civile: i risultati, se il referendum sarà ammesso dalla Consulta e votato dagli italiani, saranno per un verso l’equivalente di quel che in campo sanitario è la c.d. medicina difensiva, per altro verso l’incremento dei premi dell’assicurazione r.c. che ogni magistrato rinnova annualmente. Avremo la “giustizia difensiva”, cioè la ricerca nel caso concreto non della decisione giusta, ma di quella che mette meglio al riparo da eventuali azioni civili dirette di danno. Il fronte referendario condivide il medesimo disinteresse del governo rispetto alla responsabilità disciplinare, la sola in grado di incidere sulla carriera di un togato, e quindi di indurre a minore sciatteria.

  
Se mai un giorno qualcuno chiedesse conto disciplinarmente a quel pm e a quel gip, l’esito dipenderà dalla copertura correntizia di cui l’uno e l’altro si saranno muniti. Vi è un referendum che garantisce la disarticolazione delle correnti della magistratura associata, e riguarda le modalità di presentazione delle candidature per l’elezione dei componenti togati del Csm. A quesito approvato, non sarà più necessario accompagnare la candidatura con una lista di presentatori; resta misterioso come questo incida sul sistema correntizio: se un magistrato appartiene a una corrente, che cosa cambia se si candida con o senza firme a supporto?

  
Alla fine c’è il referendum sulla separazione delle carriere fra pm e giudicanti, separazione che nessuno può ragionevolmente contrastare, a 32 anni di distanza dall’operatività del codice di procedura penale in virtù del quale il pm è una parte. Leggendo il relativo lunghissimo quesito, ci si accorge però che da un lato esso è inutile, perché abroga disposizioni da tempo non più operative, dall’altro – pur precludendo il passaggio da una funzione all’altra – lascia in piedi un unico concorso di magistratura, un unico Csm, un’unica scuola di formazione. Lascia cioè invariata la sottoposizione dei giudici, quanto a progressione, incarichi e disciplina, a organi composti anche da pubblici ministeri, e viceversa, con un incremento della confusione.

 

Taluni dei promotori, che compongono l’attuale maggioranza e hanno propri ministri al governo, rispondono che i referendum sono uno sprone per le riforme, e che – a quesiti approvati – il Parlamento farà quanto necessario per completare l’opera. Ma se così è, non sarebbe meglio dare spazio subito al confronto parlamentare, invece che cercare soluzioni più semplici solo in apparenza? In altri termini, pensare di riformare la Giustizia con referendum di dubbia ammissibilità e dall’esito incoerente, e con emendamenti (quelli Cartabia al ddl Bonafede) che eludono gli snodi centrali della crisi, non dà l’idea di voler raggiungere la meta con una vettura dalle gomme bucate?