Raffaele Cantone,57 anni, è a capo della procura di Perugia (Ansa)

Le indagini di Cantone

Così Perugia diventa il termovalorizzatore della malagiustizia

Ermes Antonucci

Un po’ per ragioni di competenza, un po’ per caso e per destino, la procura del capoluogo umbro si è trasformata nel crocevia di tutti i principali “scandali” che attraversano il Paese

Una nuova ondata di accuse, denunce e sospetti si è riversata negli ultimi giorni sulla magistratura italiana, travolta dallo scandalo della fantomatica loggia “Ungheria” e dalla singolare vicenda del passaggio dei verbali secretati tra il pm milanese Paolo Storari e l’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Anche stavolta il compito di smaltire le scorie e dare una ripulita all’ambiente spetterà a Raffaele Cantone, capo di quella procura di Perugia diventata da due anni a questa parte una sorta di grande “termovalorizzatore d’Italia”: un po’ per ragioni di competenza (spettano alla procura perugina i procedimenti che riguardano la magistratura romana), un po’ per caso e un po’ per destino, la procura guidata da Cantone si è trasformata nel crocevia di tutti i principali “scandali” che attraversano il Paese.

 

Il primo scandalo a esplodere, nel maggio 2019, è stato quello sulle cosiddette nomine pilotate al Consiglio superiore della magistratura, che vede come protagonista l’ex pm romano Luca Palamara. Il caso sconvolge il mondo togato, sei consiglieri del Csm si dimettono, decine di magistrati sono oggetto di procedimenti disciplinari. Il procuratore capo di Perugia, Luigi de Ficchy, fa solo in tempo ad avviare l’indagine su Palamara per corruzione in atti giudiziari, andando in pensione pochi giorni dopo. Cantone, nominato nuovo dirigente dell’ufficio, eredita il fascicolo e fa svolgere nuove indagini per sostanziare le accuse contro l’ex pm (anche utilizzando alcune dichiarazioni rese dall’avvocato Piero Amara). Lo scorso novembre è cominciata l’udienza preliminare.

 

Ma non è solo la competenza sui magistrati romani ad attirare le scorie a Perugia. Anche la sorte fa la sua parte. Nel settembre 2020, infatti, esplode il “caso Luis Suarez” e la procura perugina è di nuovo al centro delle cronache. La notizia dell’indagine aperta dai pm sull’“esame farsa” svolto dal calciatore per ottenere la cittadinanza italiana e cercare di approdare alla Juventus fa il giro del mondo. Certo, nel frattempo avvengono fatti anomali, come la pubblicazione sui giornali di notizie relative all’indagine coperte da segreto, o come il rilascio di interviste da parte dell’ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell’inchiesta, ma si sa, l’opera di giustizia e di pulizia non bada alle sottigliezze.

 

 

Anche la pandemia non poteva passare indenne dall’attivismo della procura perugina, così ecco a inizio anno l’indagine su un tentativo di truffa nella vendita di vaccini alla Regione Umbria. Anche in questo caso non si va per il sottile e a febbraio il procuratore Cantone decide di spedire i carabinieri del Nas del capoluogo umbro direttamente presso la struttura del Commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, e l’Aifa, per acquisire quanti più documenti possibile.

 

Si giunge ai fatti degli ultimi giorni, alle rivelazioni dell’avvocato Amara circa l’esistenza di una fantomatica loggia massonica denominata “Ungheria”, di cui farebbero parte anche alcuni magistrati in servizio a Roma. La procura di Perugia avrebbe aperto un fascicolo ipotizzando il reato di associazione segreta, anche se l’indagine sembra puntare soprattutto a trovare riscontri o smentite ai presunti rapporti tra i personaggi indicati da Amara.

 

Insomma, dopo aver vestito per cinque anni i panni di indefesso presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, con un interventismo istituzionale e mediatico senza precedenti, anche nel suo nuovo incarico Cantone si ritrova a svolgere suo malgrado il ruolo di supremo giustiziere del Paese. Curiosamente, tutto ciò avviene mentre il governo nel “Piano nazionale di ripresa e resilienza” cerca di delineare interventi per semplificare la materia dei contratti pubblici e – indirettamente – rendere anche meno invadente il ruolo dell’Anac, preferendo lo sviluppo economico e la libertà delle imprese agli eccessi della burocrazia e del controllo (cioè proprio al “modello Cantone”).
 

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