Processo a carico di Marco Cappato, accusato di aiuto al suicidio per vicenda dj Fabo (Foto LaPresse)

Suicidio assistito: la fine dell'eccezione italiana

Eugenia Roccella

Con la sentenza sul caso di Dj Fabo si conclude l’epoca della grandi discussioni sui temi etici

Sono passati più di vent’anni da quando Massimo D’Alema scrisse “Un paese normale”. L’attesa è stata lunga ma il momento fatidico è arrivato: l’Italia è, almeno sul versante antropologico, un paese pienamente inserito nella normalità occidentale, senza troppi scarti e guizzi di italica diversità. Lontani i tempi in cui Giovanni Paolo II poteva parlare di “eccezione italiana”, e ancora più lontani i tempi in cui l’Italia era, per i nordeuropei irrigiditi dal clima e dal puritanesimo, un luogo edenico, il luogo altro per eccellenza, dove liberare gli istinti, bearsi del sole e del cibo, immergersi nel calore della spontaneità relazionale. Il sole e il cibo sono rimasti, nonostante le apericene e la diffusione di sushi e kebab, ma per il resto l’Italia è ormai entrata a pieno titolo nel Mondo Nuovo, e la sentenza della Corte costituzionale sul suicidio assistito è il simbolico suggello dell’avvenuto cambiamento.

 

L’eccezione italiana di Papa Wojtyla non era un’idea astratta, ma una formula felice che sintetizzava fatti assai concreti, una differenza leggibile nei dati. La famiglia italiana, ancora vent’anni fa, manteneva la sua forza attrattiva: le nozze si celebravano in chiesa, separazioni e divorzi erano in numero sensibilmente inferiore a quello del resto d’Europa, i figli nascevano rigorosamente all’interno del matrimonio, con una mamma e un papà garantiti. Con stupore, importanti sociologhe progressiste ammettevano che da noi le famiglie, con tanto di nonni e persino di zii, mantenevano l’abitudine del pranzo domenicale, considerato un reperto storico nel resto d’Europa.

 

La tenuta del tessuto sociale e comunitario era legata al profondo e diffuso radicamento della cultura cattolica, che manteneva la sua influenza anche se il numero di fedeli diminuiva. Era quel radicamento spesso inconsapevole che produceva solidarietà, sussidiarietà, vocazione al volontariato, e altri tratti caratteristici come la propensione al risparmio, l’impresa familiare, la diffusione della casa di proprietà, la cura domestica di anziani e disabili.

 

Chi invece di eccezione parlava di anomalia, e dipingeva l’Italia come il fanalino di coda del mondo occidentale – un paese chiuso e arretrato, dove il processo di modernizzazione tardava a completarsi- oggi può dichiararsi soddisfatto. Abbiamo il matrimonio omosessuale, con il corollario dei bambini nati da utero in affitto, abbiamo la possibilità di ricorrere alla procreazione in laboratorio utilizzando seme e ovociti comprati sul mercato e ordinati su catalogo, abbiamo appena introdotto il farmaco-gender per eccellenza, la triptorelina, per bloccare lo sviluppo degli adolescenti, in attesa che decidano a quale genere vogliono appartenere. E adesso avremo anche il suicidio assistito, l’entusiasmante possibilità di inghiottire un farmaco letale quando riteniamo che le nostre sofferenze “fisiche o psicologiche” siano intollerabili. I dati su matrimoni e divorzi sono allineati a quelli europei, il calo demografico è ormai una voragine che minaccia di inghiottire quel che resta dell’ultimo mito italiano conosciuto all’estero quanto la pizza o gli spaghetti, la mamma. Voci dubbiose ne sentiamo sempre meno, l’uniformità è avvolgente, la semplificazione confortante. È raro che qualcuno si chieda se la solidarietà, il sentimento di umana fratellanza possano resistere al concetto di autodeterminazione, che ha sostituito quello di libertà, restringendolo nel recinto di un io un po’ immiserito, senza relazioni col mondo.

La fine della questione antropologica

Con la sentenza sul caso di Dj Fabo si conclude l’epoca delle grandi discussioni sui temi etici, è la fine della questione antropologica. Non ci saranno più battaglie politiche, polemiche pubbliche, grandi domande sull’uomo. Tutto sarà affidato a questioni tecniche e procedurali, inizio e fine vita saranno regolati dalla burocrazia e dalla tecnoscienza, evitando inutili rovelli morali.

 

Michel Houellebecq come sempre ha fornito il perfetto quadro problematico in cui inserire il suicidio assistito. Raccontando la morte del padre, di cui non è riuscito a impedire la fine in una clinica svizzera, il protagonista della “Carta e il territorio” nota come gli unici a denunciare l’associazione che pratica la morte medicalmente assistita siano stati gli ecologisti. Non per tutelare la vita umana, ma perché l’eccesso di ceneri e ossa riversate nel lago di Zurigo “era responsabile del diffondersi di una specie di carpa brasiliana, arrivata di recente in Europa, a scapito del salmerino e dei pesci locali”.

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