Il procuratore della Repubblica Giuseppe Creazzo (foto LaPresse)

Come si rottama l'Italia della giustizia sommaria

Redazione

Siamo tutti responsabili delle disfunzioni della giustizia, dice il procuratore Creazzo alla presentazione del nuovo libro di Annalisa Chirico. Il sindaco di Firenze, Nardella: "La magistratura non è da combattere né da blandire: va rispettata"

“Diamoci tutti una regolata” è lo stringato appello che il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo lancia a giornalisti, politici e colleghi magistrati nel corso della tappa fiorentina del book tour di “Fino a prova contraria – Tra gogna e impunità l’Italia della giustizia sommaria”, l’ultimo libro di Annalisa Chirico (ed. Marsilio). L’altana di Palazzo Strozzi è gremita, al tavolo, con autrice e procuratore, siedono il sindaco della città Dario Nardella, il presidente dell’Ordine degli avvocati Sergio Paparo e il direttore del Corriere fiorentino Paolo Ermini. "Nel libro si disegna una Repubblica giudiziaria a tre punte – afferma Creazzo, già procuratore della Repubblica di Palmi con una lunga esperienza antimafia – Tra le categorie di magistrati, politici e giornalisti è arduo stabilire una gerarchia delle responsabilità. Di certo noi non siamo gli unici a dover rispondere delle disfunzioni attuali".

 

D’identico avviso è il sindaco Nardella: "Siamo tutti responsabili in ugual misura. La classe politica ha cercato spesso di utilizzare la magistratura, in alcuni casi l’ha considerata un contropotere. Ma la magistratura non è da combattere né da blandire: essa va semplicemente rispettata". Secondo il procuratore Creazzo, "il codice deontologico dei giornalisti andrebbe applicato più rigorosamente", cita il caso del procuratore di Brescia con un figlio arrestato per rapina a mano armata: "E’ una notizia cliccatissima. Eppure chi fa informazione dovrebbe evitare di solleticare la curiosità morbosa delle persone". Creazzo si scaglia contro la "perdurante opera di delegittimazione della magistratura che s’inserisce in un quadro di manifesta insofferenza ai controlli di legalità". Egli tuttavia riconosce l’esistenza di "errori giudiziari eclatanti e di ritardi procedurali che sono casi patologici di inefficienza, non certo ascrivibili alla magistratura nel suo insieme". Il procuratore, esponente della corrente moderata di Unicost, è stato anche vicecapo dell’ufficio legislativo di via Arenula tra il 2006 e il 2009: "Non vanno demonizzate le correnti come tali ma le derive correntizie. Magistratura democratica, su cui il libro si sofferma, ha svolto un ruolo rilevante per dare attuazione ai principi costituzionali. Tuttavia l’impegno attivo in occasione del referendum costituzionale, voluto dal governo nel 2016, ha superato, a mio avviso, un limite invalicabile: le toghe non devono ingaggiare battaglie politiche, ne va della nostra immagine d’imparzialità".

 

Quanto al tema della supplenza, Creazzo evidenzia le lacune del legislatore: "Da qualche settimana abbiamo una legge sul fine vita, d’accordo, ma il caso Englaro non poteva aspettare. Il giudice è chiamato a regolare la singola vicenda anche in assenza di una cornice normativa. Non può dire: non liquet. Non ha altra scelta se non quella di orientarsi alla luce dei princìpi generali dell’ordinamento. Produce innovazione? Certo, ma è questa la sua funzione". Nardella invoca un approccio pragmatico, "estraneo alla polarizzazione tra garantismo e giustizialismo": "Il primato della politica non va solo rivendicato a parole ma va praticato, a tale scopo serve una classe politica competente. Questo è un problema gigantesco per il nostro paese".

 

A proposito delle porte girevoli tra politica e giustizia, Creazzo evidenzia che "da vent’anni la magistratura associata chiede al Parlamento di intervenire in sede normativa per fissare l’impossibilità del ritorno alle funzioni giurisdizionali. La politica però non decide". Quanto alla separazione delle carriere, il magistrato si dice contrario: "Mi preoccupa l’idea di un pm come corpo separato sottoposto al controllo del governo. Il pm è la benzina del motore giustizia". Creazzo è notoriamente fautore del rispetto assoluto del segreto d’ufficio, tra i primi ad adottare le direttive interne di autoregolamentazione: "Non mi pare che dagli uffici da me diretti fuoriescano notizie a uso e consumo della stampa. È la prova che si può". Resta contrario al reato introdotto di omicidio stradale: "Se con un gommone arroto un bagnante, rispondo di omicidio colposo semplice. Se uccido in modo analogo in strada, le pene sono superiori. La Consulta, un giorno o l’altro, interverrà". In generale, Creazzo mette in guardia dal "panpenalismo" e dalla "legislazione emotiva" che complica il lavoro di procure e tribunali.

 

In chiusura, Nardella cita le parole del giurista Roberto Talarita: "Quando si tira in ballo la presunzione d’innocenza si finisce per concentrarsi su quella parola, innocenza. La parte più complicata però arriva dopo: fino a prova contraria. Insistere sulla presunzione ha un certo valore pedagogico perché l’istinto spesso ci porta a emettere condanne affrettate. Ma il macigno filosofico è un altro: che cos’è una prova contraria? Quando possiamo dirci soddisfatti delle prove presentate? È facile dire di rispettare la presunzione d’innocenza e poi accontentarsi di prove fragilissime per superarla. Allo stesso modo, è facile ignorare i dati a disposizione scambiando la presunzione d’innocenza per l’innocenza vera e propria. La prova contraria è il rompicapo da risolvere".