Breve messa in stato d'accusa dei giudici

Maurizio Crippa

Il circo mediatico-giudiziario, certo. Ma fra le due parti, quella che ha guadagnato (potere, influenza, intoccabilità) in questi decenni è la magistratura. Ecco qualche snodo da non dimenticare. Il giustizialismo l’hanno creato i pm

Siccome preferisco il cinema ai dibattiti sulle intercettazioni pesco a caso, e fuori contesto, dal brogliaccio della memoria l’immagine del Giudice del Sole splende alto, il film che John Ford considerava il suo più bello. L’immagine del giudice che mentre tutto il paese chiede linciaggi motivati per sentito dire, e l’uomo nuovo della politica il lasciapassare al potere, disegna cerchi nella sabbia, come Gesù con l’adultera, e nessuno sa cosa scrivesse (non c’era Marco Lillo). Ma poiché è un giudice, applica la legge e sconfigge la canea e gli ambiziosi. Questi sono i giudici, che per Bacone “devono essere leoni, ma leoni sotto il trono”. I western sono meglio dei giornali, anche se per tanti colleghi il giornalismo è la sublimazione del western: un modo per sparare impunemente pistolettate nel mucchio. Ma i giornali sono fatti per venderli, che non si pubblichi ciò che ci si ritrova tra le mani è utopistico. Si può formulare un’accusa, ma sarebbe assoluzione, seppure con ammonizione e reprimenda. Antonio Polito ha scritto ieri sul Corriere che le intercettazioni sono diventate per l’opinione pubblica “l’unica sanzione possibile per i potenti”. Detto così è Lapalisse, per capire il perché bisogna lasciare i giornali e passare alle cose serie: nel circo mediatico-giudiziario la più importante è sempre l’altra parte del circo, la magistratura. Se c’è un potere che merita un atto di accusa, è quello. Le inchieste con annesso apparato di propalazioni, carte passate di mano, informazioni sotto mano è dai tempi del Sifar che determinano la politica (intesa come legislativo ed esecutivo: gli altri due poteri del buon Montesquieu). In questa guerra, il “quarto potere” (sì, stiamo sempre al cinema, le comiche finali…) ha guadagnato le briciole, gli spicci. Il vantaggio e il comando li ha incassati la magistratura. Conducendo le inchieste ed emettendo sentenze, e qui fa il suo. Ma anche distribuendo le carte del sapere, le patenti di moralità e i marchi d’infamia, stabilendo le regole. Ha guadagnato in termini innanzitutto di intoccabilità: quella curriculare e istituzionale c’era già, quella di feticcio sacrale nasce con Mani pulite (non dite Falcone e Borsellino: non è vero).

     

     

Ma è una presa di potere che inizia dagli anni 60 e 70, con la politicizzazione di una parte della categoria, attraverso gesti rituali che segnano il campo di sfida, come le “controinaugurazioni” dell’anno giudiziario. Stefano Rodotà, in tempi non sospetti, ebbe a dire che la magistratura si era mutata da “istituzione della stabilità” in “istituzione della trasformazione”. Della rivoluzione. Sono gli anni in cui si consolida l’ideologia (azionista, comunista) del “controllo di legalità”, che presto diventa “controllo di moralità”. Poi il debordare dell’Anm, l’assunzione di un ruolo arbitrario e arbitrale (potenziato dalla farraginosità del sistema e dei codici) non più contestato da nessuno. Tutti dentro, il film del pm d’assalto Annibale Salvemini-Alberto Sordi, è del 1984. Passeranno pochi anni fino al ruolo di interdizione delle leggi, al pronunciamiento congiunto del pool di Mani pulite contro il decreto Biondi. Al “resistere resistere resistere” di Francesco Saverio Borrelli del 2002. Fino al potere di selezionare i candidati (legge Severino) e oltre. Sulla necessità di rivedere il meccanismo delle porte girevoli dei magistrati in politica è intervenuto lo scorso anno persino il Greco, il Gruppo di stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa: “E’ chiaro che la legislazione italiana contiene diverse lacune e contraddizioni a tale riguardo che sollevano dubbi dal punto di vista della separazione dei poteri e della necessaria indipendenza e imparzialità dei giudici”. E’ successo nulla? Fino a quella che Luciano Violante ha recentemente definito come la nascita di una società in cui “il Codice penale è diventato la Magna Charta dell’etica pubblica”. La repubblica dei giudici piace a Rousseau (il filosofo e il sistema operativo). Polito scrive che “si sta aprendo un divario molto ampio e pericoloso tra la giustizia dei tribunali e quella dell’opinione pubblica”. Ma è la giustizia dei tribunali – nel senso che abbiamo delineato – ad aver armato l’opinione pubblica, attraverso una nefasta soumission dell’informazione. La politica, è stata semplicemente a guardare.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"