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Rivoluzionare il ciclismo su pista per salvarlo: ecco l'Uci Track Champions League

Giovanni Battistuzzi

Eurosport Events ha convinto l'Uci a provare a dare una nuova veste a una disciplina che non godeva di buona salute passando dai lunghi eventi, le Sei giorni, ai grandi eventi: un concentrato di tre ore del meglio (almeno per quanto riguarda lo spettacolo) dei velodromi

Tra il niente e il piuttosto, dice il proverbio e forse pure il buon senso, è meglio il piuttosto. Soprattutto quando il piuttosto si insinua nelle rovine di un grande reame che fu e che ormai, salvo qualche significativa ma sparuta eccezione, sta scomparendo del tutto da un mondo che è riuscito invece a resistere a cataclismi e a ripartire.

 

Nei primi anni Duemila il ciclismo, secondo uno studio dell'agenzia di comunicazione sportiva e consulenza pubblicitaria Sportlab group, aveva perduto in Europa, in seguito agli scandali legati al doping, quasi il 16 per cento di appassionati e oltre il 30 per cento di pubblico (i primi sono le persone che seguono in modo costante le corse, i secondi sono quelli che guardano i grandi eventi). Poco meno di un ventennio dopo, secondo i dati raccolti dall’Union Cycliste Internationale (che uniscono le stime delle presenze a bordo strada al numero dei telespettatori), il ciclismo è ritornato ai livelli di interesse precedenti al 1998, quelli dello scandalo Festina e della “scoperta” del doping.

 

Se il ciclismo può dirsi non solo salvo, ma anche in buonissima salute, c’è una parte di ciclismo che è sempre più marginale e periferico, nonostante per decenni e decenni sia stato uno tra le discipline più seguite. Il ciclismo su pista continua a essere in uno stato semicomatoso, se non in Belgio e in pochi altri paesi, fatto di velodromi vuoti e gare che non fanno notizia.

 

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La sparizione delle Sei giorni (gare a coppie in pista che si svolgono appunto nell'arco di sei giorni di gara e che vedono i corridori sfidarsi in diverse specialità) è stato un qualcosa di progressivo, una moria iniziata in America negli anni Sessanta (Boston e New York) e continuata a ondate in Europa sino al blackout degli anni Duemila dove in pochi anni hanno chiuso le serrande tutti i palcoscenici storici: da Milano a Dortmund, da Zurigo a Copenhagen. Sono rimaste in piedi, almeno prima della pandemia di Covid-19, Berlino e Gand.

 

“La chiusura dei velodromi, l’eclissi delle Sei giorni e delle grandi riunioni, sono qualcosa che mi addolora e intristisce”, disse nel 2018 il seigiornista più forte della storia Patrick Sercu, dopo la notizia della scomparsa della Sei giorni di Londra. “Perdere la pista vuol dire perdere una parte della storia del ciclismo. Sono consapevole che non si possa tenere in piedi un evento solo per vecchi dinosauri nostalgici come me, ma è evidente che qualcosa andrebbe fatto. L’Uci non può restarsene ferma a vedere sfiorire uno dei suoi migliori fiori”.

 

Eppure la pista non è morta in Europa. In Germania, Gran Bretagna, Belgio e Olanda il numero di appassionati di ciclismo su pista non è diminuito in questi anni. I grandi eventi nei velodromi hanno più volte segnato il tutto esaurito e mondiali, europei e Olimpiadi hanno sempre avuto una buonissima audience televisiva. E se l’Uci è rimasta ferma a non capire il perché di tutto ciò, ha provato a dargli una mano Eurosport.

 

Elia Viviani conquista l'oro nell'Omnium a Rio 2016 (foto LaPresse)

  

Se il cuore della pista non si è del tutto fermato, se ancora batte, forse il torpore nel quale è caduto è dovuto a una questione di format. O almeno a questo potrebbero aver pensato in Francia. E così in un’epoca di marketing, nel quale molto del successo di un evento sta nel nome del brand, ecco che Uci ed Eurosport hanno puntato sull’usato sicuro: UCI Track Champions League. Il prodotto però è nuovo e, forse fatta eccezione per i “vecchi dinosauri nostalgici” – che però sono tanti e neppure troppo vecchi –, anche interessante.

 

Il meglio del meglio dei corridori, metà uomini e metà donne, condensati in circa tre ore di gare per sei sere di sei settimane consecutive in sei velodromi. Quattro prove: velocità individuale, keirin, gara ad eliminazione e scratch. Tutto in diretta televisiva e con un programma fatto per essere godibile a un pubblico il più ampio e composito possibile, insomma aperto a tutti gli appassionati di ciclismo e di sport e non solo a quelli di ciclismo su pista. La scelta di eliminare dal programma le discipline più complesse da spiegare - come la gara a punti, l’Americana ecc. -, è diretta conseguenza di questa logica.

 

Il Vel d’Hiv di Parigi stracolmo di giovani e intellettuali, di gradinate popolari e salottini da coppe di champagne; la meglio gioventù della Belle Époque di New York che riempiva il Madison Square Garden per vedere gli assi del pedale; gli anni del Vigorelli stracolmo anche oltre il consentito per vedere la generazione dei grandi sprinter che sfidava quella dei campioni della strada. Tutto questo non c’è più. E forse bisogna fare i conti davvero con i tempi che sono cambiati. L’UCI Track Champions League, che scenderà in pista nel novembre del 2021, forse sarà qualcosa di eterodosso, uno stravolgimento di quello che per anni la pista è stata, ma quantomeno è un tentativo di ridare animo e visibilità a una disciplina che ha sempre unito ciclismo e spettacolo. E se ora il concetto di spettacolo è cambiato, può toccare, in certi casi, cambiare qualcosa anche del ciclismo.

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