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La razionalità che ci vuole contro il Covid nel mondo irrazionale della Roubaix

Giovanni Battistuzzi

La classica del pavé è stata cancellata. L'edizione 2020 della corsa che della logica se ne è sempre fregata non si correrà

Esiste nel ciclismo, a volte, un abdicare totale della logica in favore di altro: della bici, del sentimento, dell’irrazionalità. Non accade sempre, eppure sempre accade in una giornata particolare, sempre primaverile, almeno per data, non sempre per clima. La Parigi-Roubaix è una corsa che della logica se ne è sempre fregata e continua a fregarsene. Non potrebbe essere altrimenti per una gara che impone ai corridori di percorrere su di una bicicletta con un meno di trenta millimetri di larghezza chilometri e chilometri di stradelle sperdute nelle campagne francesi dove ancora l’asfalto non è arrivato e anzi, c’è un gruppo di persone, les Amis de Paris-Roubaix, che si guardano bene dal farlo arrivare.

  

Il pavé del nord della Francia, raccontava Rik Van Steenbergen, due Roubaix vinte in carriera, è un stato a parte del ciclismo, “una dimensione a sé, un’invenzione dolorosa e meravigliosa. Qualcosa di fuori dal mondo, dal tempo, dalla ragione, per questo meravigliosa”.

 

Ora che il mondo e il tempo impongono il loro peso, anche la Parigi-Roubaix, per una volta (anzi due) si è dovuta piegare alle logiche della ragione. La Parigi-Roubaix 2020 non si farà. La zona metropolitana di Lille è in zona rossa, terra di Covid, non più soltanto di pietre. 

 

“Provo un'enorme tristezza”, ha dichiarato all’Equipe l'organizzatore del Tour e di tutte le corse Aso, Christian Prudhomme, “ma non potevamo fare altrimenti. Ieri le parole prefettura sono state chiare: 'Francamente è ingestibile pensare di poter far correre la gara’. E non si può organizzare una gara senza il via libera delle comunità locali e dei servizi di sicurezza statale. La situazione sanitaria del paese è il problema più importante”. 

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