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Aumentare la produttività è una questione di bici

Giovanni Battistuzzi

Solo a Londra 1,1 miliardi di sterline persi a causa dei ritardi dovuti al traffico. Il 50 per cento degli spostamenti in Italia è motivato da necessità lavorative. Ecco perché le aziende si stanno convertendo alla bicicletta. Parla Paolo Pinzuti

Achille Campanile era seduto sulla sua comoda poltrona in vimini ben imbottita da cuscini nella casa di Lariano, quando disse che “sono passati almeno un paio di secoli da quando mi sono mosso l’ultima volta. Ho deciso di non muovermi. L’immobilità è ciò che mi piace di più perché non ho alcuno motivo di uscire. La spesa me la portano, odio i ristoranti e i bar chiassosi. E poi ciò che devo fare per vivere lo posso fare benissimo in terrazza”. Lo scrittore provò a convincere l’intervistatore che l’uomo era per natura pigro e sedentario e che l’idea di muoversi era dettata solo da due necessità: riprodursi e mangiare, “e dato che si raccoglie e si caccia sempre meno, l’unico modo per mangiare è lavorare: ci siamo fregati con le nostre stesse mani”. 

 

Era ironico Campanile, ma fino a un certo punto. Muoversi infatti è qualcosa che dipende, molto spesso, da volontà o necessità. E, almeno secondo gli ultimi dati dell'Istat, oltre il cinquanta per cento degli spostamenti sul territorio italiano è motivato da necessità lavorative o di studio. Una percentuale che arriva fino a circa i tre quarti degli spostamenti totali, se si prendono in considerazione anche quelli legati a esigenze familiari. 

 

In questi mesi di pandemia, di riconsiderazione del nostro modo di vivere e, di conseguenza, di muoversi, la mobilità ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico. Il Covid, il distanziamento sociale, l’impossibilità di un rapido adeguamento del servizio pubblico locale (troppo costoso per la maggior parte delle città italiane) hanno portato molti comuni a ripensare il modello viario che sino a quel momento era considerato per lo più immutabile.  

 

“Il Covid ha segnato un passaggio, ha imposto un cambiamento netto: l’idea che la vicinanza fisica non è più, almeno per ora, un’opzione. Ha allargato le distanze sociali e questo ha imposto la necessità di una riconsiderazione di molte cose, prima tra tutte il nostro modo di muoversi”, dice al Foglio Paolo Pinzuti, editore di Bikeitalia e amministratore dell'azienda Bikenomist. “Prendiamo il trasporto pubblico. Nelle grandi città, specialmente nelle ore di punta, bus, metro e tram erano congestionati di persone che andavano o tornavano dal lavoro. Qualcosa del genere ora non è più possibile e nemmeno auspicabile. La conseguenza di tutto ciò – sottolinea Pinzuti – è la necessità di modificare le città per muoverci in una maniera differente. Se a Milano prima della pandemia il servizio pubblico muoveva al giorno circa un milione di persone, ora con una capacità del 25 per cento di quella pre-Covid, bisogna trovare una soluzione efficace di spostamento per 750 mila persone. Se tutti gli utenti iniziassero a spostarsi in auto ecco che le città si paralizzerebbero”. 

 

Questo pericolo è stato recepito da una buona parte delle amministrazioni cittadine. In questi ultimi mesi diversi sindaci hanno iniziato, chi più e chi meno, chi meglio e chi peggio, a ridisegnare la rete viaria della città, incrementando il numero di corsie ciclabili. Perché è proprio la bici, oltre che il movimento a piedi e con i nuovi mezzi di spostamento elettrico – dai monopattini ai segway ecc. – “la soluzione migliore per decongestionare il traffico urbano”, come ha sottolineato nei primi giorni di maggio la sindaca di Parigi, rieletta, Anne Hidalgo.  

 

In questo concerto di voci, di idee e progetti, il grande assente è stato però il mondo del lavoro. E questo nonostante sia uno dei principali attori in tutto il meccanismo. La mobilità infatti “non è altro che il sistema operativo di un ambiente, è ciò che permette a tutti gli altri applicativi di funzionare”, sottolinea Pinzuti. “L'efficienza di scuola, sanità, commercio e della quasi totalità degli altri settori della società dipende in misura non secondaria dall’efficienza della mobilità”. E se la metà degli spostamenti degli italiani dipende da esigenze lavorative (o di studio) ecco che anche il mondo del lavoro non può non trarre dei benefici da un modello di mobilità efficiente. 

 

L’intasamento delle strade, i problemi di circolazione, i rallentamenti dei trasporti generano dei problemi che si ripercuotono inevitabilmente sulla vita delle persone e sulla produttività. E in un momento storico nel quale l’economia è in difficoltà ed è necessario ripartire, migliorare la produttività dovrebbe essere essenziale per il rilancio del paese. Ecco allora che la bicicletta è uno dei modi migliori per aumentare la produttività dei lavoratori. “Come diversi studi scientifici hanno già ampiamente dimostrato – dalla Bristol University alla Stanford University, sino ai dati dell’Ocse – chi fa attività fisica prima di andare al lavoro è più sveglio, più produttivo. Oltre ad avere un sistema immunitario migliore che diminuisce i giorni di assenza dal lavoro per malattia”, evidenzia Pinzuti.  

  

Non è però solo una questione di benessere fisico. È anche una questioni di tempistiche. “Pedalare elimina i ritardi al lavoro perché non si dipende più dalla variabile aleatoria del traffico cittadino”, sottolinea Pinzuti. Secondo una ricerca della Oxford Economics ogni anno il costo economico dei ritardi lavorativi è quantificabile, solo a Londra, in circa 1,1 miliardi di sterline. Una perdita che, secondo i ricercatori, potrebbe essere dimezzata solamente con l’incremento del dieci per cento gli spostamenti casa-lavoro in bicicletta, “il mezzo che permette di avere la velocità commerciale media (il rapporto tra la distanza percorsa ed il tempo impiegato per percorrerla compresa la ricerca di parcheggio, ndr) più alta all’interno dell’area urbana”. 

 

Non bastano però solo i nuovi percorsi ciclabili, siano essi corsie o piste. Per incentivare l’utilizzo della bicicletta in città è necessario anche che il mondo lavorativo faccia un piccolo sforzo per adeguarsi “a un cambiamento che possiamo facilmente osservare. Il Covid ha amplificato la voglia di stare all’aperto. Le biciclette sono aumentate ovunque in Italia. Lo sì è visto nell’assalto ai negozi di bici, certo incentivati anche dal bonus dello stato. Lo si vede ogni giorno pedalando lungo i percorsi ciclabili o ciclopedonali”, dice Pinzuti. E non è una tendenza solo italiana. A Parigi gli spostamenti urbani in bicicletta, secondo le prime stime dell’assessorato alla mobilità, sono aumentati dall'inizio del lockdown di oltre il 15 per cento. “La speranza è che questo incremento generalizzato sia duraturo”. I percorsi ciclabili però non bastano, serve il coinvolgimento del mondo del lavoro in questo cambiamento. E questo per evitare che i ciclisti urbani si trovino nella condizione di dovere abbandonare la bici perché ostacolati a compiere il tragitto casa-lavoro proprio dai datori di lavoro. “Si tratta di tre accortezze semplici da realizzare: un parcheggio sicuro per le biciclette per evitare che vengano rubate durante l’orario lavorativo; un ambiente dove i dipendenti si possano lavare e cambiare se necessario; iniziare a sensibilizzare i propri dipendenti all’utilizzo delle bici perché ne va nell’interesse dell’azienda”, suggerisce Pinzuti. 

 

Bikenomist, con il supporto dello studio di architettura Montieri-Macchi, ha dato vita a Biko to business un servizio integrato (progettazione e installazione di parcheggi bici e micromobilità, formazione aziendale, comunicazione interna, supporto comunicazione esterna, fornitura di bici) per aiutare le aziende italiane in questa fase di transizione. “Una prima manifestazione di interesse soprattutto di grandi aziende c’è già stata ed entro settembre dovremmo partire con i primi progetti”, dice Pinzuti. “È proprio il mondo lavorativo che potrebbe contribuire al cambiamento della mobilità, che potrebbe essere un volano anche per una diversa attenzione della politica alla mobilità”.