Girodiruota – GiroDiVino

La sfiga è un carro di botti di vino

Giovanni Battistuzzi

La settima tappa del Giro d'Italia 2020 doveva partire da Mileto e arrivare a Camigliatello Silano. La storia di Giuseppe Ferraro che trasportava su di una bici 36 litri a viaggio e che a causa del vino perse la sua grande occasione

La settima tappa del Giro d'Italia 2020 doveva partire da Mileto e arrivare a Camigliatello Silano. La sesta tappa di GiroDiVino (qui trovate tutte le altre puntate) è da leggere bevendo una bottiglia di Petraro, della Azienda Agricola Ceraudo, Strongoli (KR).  

 


 

L’avevano messo su di una bicicletta che aveva dieci anni perché serviva uno che facesse la spola tra le vigne e la cantina. E lui aveva iniziato a pedalare con gioia, nonostante i vigneti fossero inerpicati sul monte e il casale invece accasciato a valle. Anni di salite e discese, di ritmi sempre più sostenuti ché mica si doveva batter la fiacca. Solo quando il fratello divenne abbastanza grandicello per sostituirlo e lui abbastanza alto per salire sulla bici da trasporto, venne spostato ad altra mansione: trasportatore. Su quel cancello da oltre venti chili e con le gomme piene ci stavano cinque botti di vino: due da otto litri a lato della ruota anteriore, due da quattro litri a lato di quella posteriore e una da una dozzina appoggiata sulle due dietro e fissata al portapacchi. Il trabiccolo l’aveva congegnato lo zio Alfredo e per anni l’aveva portato in giro per i paesi della zona per tirare su due soldi in più. Ora toccava a lui proseguire la tradizione. Ci mise poco Giuseppe Ferraro a prendere la mano, ancor meno ad aumentare il raggio di vendite. Su quell’aggeggio riusciva a percorrere anche un centinaio di chilometri al giorno. E quando passava per i paesi menando sui pedali come una furia tutti gli urlavano che era pronto per il Giro d’Italia. Ma quale Giro d’Italia, che mai s’è visto un corridore calabrese, diceva ogni volta.

 

Una domenica del 1928, visto che non doveva fare consegne in quanto giorno del Signore, decise di pedalare per se stesso nonostante fosse giorno del Signore. Con la bicicletta con cui faceva la spola tra vigne e cantina, si iscrisse a una gara che si teneva a Corigliano calabro, poche decine di chilometri da casa sua. Ci mise altre poche decine di chilometri per staccare tutti. Il primo premio consisteva in due salami che quando tornò a casa furono usati a mo’ di mazza contro di lui.

 

Le salamate non lo distolsero però dal suo nuovo sogno: fare davvero il Giro d’Italia.

 

Per prepararsi e raccimolare qualche soldo per l’iscrizione, disputò diverse gare nelle città vicine: non ne perse una. E nel 1930 ecco la grande occasione: un signorotto locale gli pagò il viaggio in treno e il costo di partecipazione della Roma-Napoli-Roma, categoria isolati. Due tappe di 252 chilometri e una raccomandazione che suonava però più come un avvertimento: fatti onore.

 

Giuseppe Ferraro onore iniziò a farselo subito quando non perse le ruote dei migliori sulle salite dei Castelli. E ancor più se ne fece quando verso Itri provò a involarsi tutto solo. Sembrava un sogno. Primo davanti a tutti.

 

Peccato che tutto finì malissimo. 

 

Nella discesa che portava i corridori verso il piano campano Ferraro andava talmente forte che non si accorse della presenza in strada di un carro. Lo centrò in pieno. Fortunatamente non si fece che qualche graffio. Sfortunatamente la forcella della sua bici si ruppe. Il caso volle che quel carro trasportasse botti di vino.

 


 

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