Centoventi anni di psicoanalisi e il mondo va sempre meglio

Davide D'Alessandro

L’ultimo libro di Vittorio Lingiardi consente anche una doverosa riflessione sulla straordinaria invenzione di Sigmund Freud. Di conoscenza trattasi, di scandaglio critico, di discesa agli inferi, di accesso alla verità, a quella quantità di verità che ognuno di noi può permettersi di accettare. Se scienza è, è scienza capace di rivelare l’uomo a sé stesso. Non promette guarigione, ma conoscenza

Ho appena finito di leggere Io, Tu, Noi. Vivere con Sé stessi, l’altro, gli altri, di Vittorio Lingiardi, edito da Utet e vorrei scriverne per dirne della chiarezza, della pulizia mentale, della doverosa riflessione sui cervelli motivati, sull’insondabile sessuale, sulla psiche come città aperta, ma alcune pagine mi catturano più di altre, alcune pagine mi impongono di sovrastare e trascurare le altre. Sono quelle che vanno da 60 a 69, Due persone che parlano in una stanza, quel raccontarsi per ritrovarsi, quelle pagine dove la psicoanalisi emerge per ciò che è: “Avvolta nel ritmo delle rotture e delle riparazioni – un ritmo che attraversa ogni relazione duratura – la relazione terapeutica è un intreccio di voci e di livelli, una negoziazione continua tra i molti sé del paziente e del terapeuta. La stanza d’analisi è polifonica nel senso che il critico russo Michail Bachtin, negli anni trenta, attribuiva al romanzo dostoevskiano: il Sé come molteplicità di posizioni e parole in dialogo tra loro, personaggi che dialogano con altri personaggi, episodi che dialogano con altri episodi, le idee nel romanzo che dialogano con quelle esterne al romanzo”.

Continua Lingiardi: “La ricchezza teorica della psicoanalisi nasce dal confronto con altre discipline, dalla letteratura alle neuroscienze. La sua forza clinica nasce dall’incontro tra verità storica (ciò che è successo) e verità clinica (ciò che ricordiamo, raccontiamo, interpretiamo). L’attività mentale è così, disomogenea, insatura. Quando un oggetto di ceramica si rompe, i restauratori giapponesi adottano l’antica pratica del kintsugi: per saldare la crepa, riunire i frammenti, usano oro liquido. Vale anche per le persone, non solo per le tazzine. È il lavoro del terapeuta quando, col metallo prezioso della relazione, trasforma in cicatrice le ferite del trauma: l’effrazione viene riparata e il pezzo, ora unico e irriproducibile, acquista più valore”.

Perfetto. Queste pagine giungono ai lettori proprio mentre da più parti si reitera l’attacco alla psicoanalisi, talvolta derubricata persino a raggiro, aria fritta, parole al vento per spillare soldi, farneticazioni spacciate come scienza per non guarire alcuno. Perché, di grazia, la psicoanalisi è nata per guarire? Finisce persino per guarire, talvolta, ma senza porselo come fine. Può accadere di rimbalzo, per eccedenza, là dove la scienza, quella che pensa di essere la Cassazione di tutte le verità, spesso fallisce miseramente come tante Cassazioni di questo mondo. La psicoanalisi, se scienza è, è quella che rivela l’uomo a sé stesso, come recita il sottotitolo di un mai dimenticato libro di Pierre Daco. Punto. Di conoscenza trattasi, di scandaglio critico, di discesa agli inferi, di accesso alla verità, a quella quantità di verità che ognuno di noi può permettersi di accettare e sopportare, poiché Scilicet. Tu puoi sapere.

Freud parlava della “nostra giovane scienza”. Oggi, che tanto giovane non lo è più, non ha bisogno di giustificarsi. Ha bisogno di essere praticata, vissuta, tra il buio e la luce, il dolore e la gioia, il pianto e il sorriso. Bisogna viverla per parlarne, sentirla come viaggio, non più rinviabile, all’interno di sé stessi. Per poter vivere con sé stessi, l’altro, gli altri, perché attraverso la mia sofferenza si rende evidente l’incontro con la sofferenza di tutti, perché attraverso l’esame del particolare si appalesa l’universale, perché attraverso lo squarcio del velo individuale cadono le maschere del collettivo.

Bisogna avere maggiore rispetto per chi si sdraia sul lettino e per chi è seduto dietro il lettino, dopo essersi sdraiato anch’egli, su quel lettino, per anni. Centoventi anni di psicoanalisi e il mondo va sempre meglio, non peggio, caro Hillman. Va meglio per chi affida a questa straordinaria invenzione il suo Sé-fenestrarsi, il suo De-generarsi, per dirla con Lingiardi, il suo urlo interiore che non chiede, per dirla con Galimberti, di risolvere i problemi, ma di conoscere perché urla, da dove proviene quell’urlo, a chi è rivolto, perché ne soffre e ne gode, perché si ripete, perché? Scilicet. Tu puoi sapere.

C’è un mondo dentro quella stanza, c’è uno studio quotidiano di pazienti e analisti attenti, c'è un patrimonio infinito di ricerca da serbare, c’è una fuga dal certo, dallo scontato, dal tutto dimostrabile, dal 2+2=4. Non ha che farsene, l’anima in pena, del 2+2=4. Chiede nuove aperture, respiri profondi e non viziati, sguardi attenti, scenari inaspettati. Non è giusto giocare con Freud, sfottere il visionario Jung, offendere il genio di Lacan. Parliamo di giganti. La loro opera testimonia la loro grandezza. Se sapessimo considerarci pulci e salire sulle loro spalle, osserveremmo, dentro e fuori di noi, paesaggi diversi, un mondo migliore dove abitare, una traccia autentica da lasciare. Io, tu, noi potremmo incontrarci e vivere insieme. Cominciando da dentro una stanza. Può esserci il cielo in quella stanza. Il cielo in una stanza.